Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Dalla competenza alle competenze: questioni recenti in materia di professionalità e merito nel lavoro pubblico (di Antonio Viscomi, Professore ordinario di Diritto del Lavoro nell’Università Magna Græcia di Catanzaro, Direttore del centro di ricerca “Digit Lab Law”.)


L’autore prende in esame la recente valorizzazione in chiave organizzativa e gestionale delle competenze professionali del personale pubblico in funzione del perseguimento del valore pubblico. Dopo una riflessione in ordine alla relazione tra il dato sociologico della professionalità e la struttura giuridica fondamentale dell’obbligazione di lavoro, l’autore esamina le direttive ministeriali adottate negli ultimi due anni e ne verifica l’effettiva implementazione nella riformulazione dei sistemi di inquadramento dettata dai contratti collettivi più recenti, segnalando potenzialità e limiti delle innovazioni proposte.

From competence to competencies: recent issues regarding professionalism and merit in public work

The author examines the recent enhancement in an organizational and managerial key of the public personnel professional skills in the pursuit of public value. After a reflection on the relationship between the sociological datum of professionalism and the fundamental legal structure of the work contract, the author examines the ministerial directives (soft law) adopted in the last two years and verifies their effective implementation in the reformulation of the classification systems dictated by the most recent collective agreements, pointing out the potential and limits of the proposed innovations.

SOMMARIO:

1. Semplificazioni narrative - 2. Complessità regolative - 3. Cosa e come - 4. Ecosistemi professionali - 5. Linee di indirizzo - 6. Linee guida e Framework - 7. Prove situazionali - 8. Formazione e valutazione - 9. Aree Famiglie Profili Mansioni - 10. Dirigente mentore - 11. Conclusioni provvisorie - 11. Conclusioni provvisorie - 11. Conclusioni provvisorie - - NOTE -


1. Semplificazioni narrative

Mi è stato chiesto di condividere una riflessione introduttiva sulle tendenze evolutive del sistema di regolazione del lavoro pubblico riguardate nel prisma di concetti chiave come professionalità e merito. Prospettiva sicuramente non priva di interesse, ma che sopporta, già ad un primo approccio, il rischio di una incontrollata estensione tematica, peraltro suggerita o comunque non inibita dalla sempre più diffusa (e talvolta confusa) semplificazione narrativa di concetti, quali appunto quelli di professionalità e merito, segnati viceversa dal carattere plurale e controverso della relativa identità. In effetti, è ormai quasi di stile avviare ogni discorso sulla professionalità segnalandone la natura di categoria polisemica – tanto da poter dire che “tutti la incrociano senza riuscire ad afferrarla pienamente nelle sue varie sfaccettature ed implicazioni [1] – e ragionare sul dilemma del merito, se sia cioè “il cavaliere buono che lotta contro il privilegio” oppure “il complice di ogni nefandezza e ingiustizia” [2]. Fors’anche per queste ragioni si ha quasi l’impressione che professionalità e merito siano concetti simili a quei quadri la cui trama, ben percepita se osservata a distanza, si perde in indecifrabili tessiture quanto più ci si avvicina alla tela. Di talché, alla fine, quei significanti così diffusi ma dalla incerta complessità sembrano risolversi, l’uno, nella rappresentazione sintetica di un indistinto insieme di “comportamenti non burocratici” orientati ai risultati [3] e, l’altro, nella rivendicazione di un qualche rewarding a beneficio di chi svolge bene il proprio lavoro, peraltro frequentemente frenata nelle sue potenzialità positive da chi ne lamenta gli effetti differenziali e pretende di governarli mediante sistemi di monitoraggio e misurazione ai quali si addice, purtroppo, l’icastica affermazione di Luca Ricolfi secondo cui “la meritocrazia può rivelarsi il peggior nemico del merito” [4].


2. Complessità regolative

Facilmente intuibili, però, sono le conseguenze quando ambiguità e anfibologie proprie della dimensione narrativa e descrittiva (soprattutto se ricondotta nell’alveo della retorica politico-sindacale) tracimano poi in quella propriamente normativa e prescrittiva, là dove professionalità e merito rinviano, spesso senza una chiara distinzione: a competenze soggettive da potenziare e a comportamenti oggettivi da promuovere; a tratti propri del prestatore e a caratteri specifici della prestazione; oppure, per altro verso, a requisiti – da valutare ex ante – per l’accesso al posto di lavoro e ai risultati – da valutare ex post – dell’attività prestata; a parametri di misurazione, anche per finalità retributive, della conformità tra prestato e dovuto e a criteri di determinazione del contenuto proprio dell’obbligazione di lavoro. Basti pensare, al riguardo, ma è solo uno degli esempi possibili, al comma 1-bis dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 che impone di correlare i criteri per le progressioni interne all’area ad un coacervo di elementi quali “capacità culturali e professionali”, “esperienza maturata”, “qualità dell’attività svolta” ma anche “risultati conseguiti”, riaffermando peraltro il valore del principio di selettività mediante l’introduzione di “fasce di merito”. Ciò considerando, non può certo meravigliare se anche in giurisprudenza professionalità è nozione variamente declinata. Così, ad esempio, la Corte Costituzionale l’ha intesa a volte come “complesso di capacità ed attitudini” che deve essere valutato ai fini dell’assunzione o della nomina (sent. 15 dicembre 2016, n. 269) e che può risultare danneggiato da un improprio mutamento di mansioni (sent. 6 aprile 2004 n. 113); altre volte invece è stato considerato termine rappresentativo dell’incremento qualitativo della prestazione erogata in virtù dell’esperienza acquisita nel corso della vita lavorativa (sent. 1 marzo 2018 n. 39) o più genericamente espressione di un apporto qualificato al processo produttivo (sent. 26 maggio 2017 n. 124); altre volte ancora, infine, la Corte ha in qualche [continua ..]


3. Cosa e come

Ritenere altrimenti, trasformando cioè la professionalità da modo di esecuzione ad oggetto della prestazione, da “come” a “cosa”, non solo sarebbe improprio sul piano giuridico, ma produrrebbe un ulteriore paradossale effetto, revocando in dubbio il fondamento stesso dell’approccio organizzativo che anima e conforma la linea di Riforma 2.1. del PNRR e che costituisce oggi, a me pare, il paradigma di riferimento per l’innovazione organizzativa delle e nelle amministrazioni, in qualche misura anche surrogando gli stessi schemi concettuali ed operativi del new public management. Intendo riferirmi alla valorizzazione organizzativa delle competenze come risposta alla necessità di adattarsi ad un ambiente in continua evoluzione, soprattutto in un contesto di transizione digitale. “Civil servants” – è stato detto – “need the right skills to keep pace” [10], perché sono chiamati ad affrontare “problems of unprecedented complexity in societies that are more pluralistic and demanding than ever” e, allo stesso tempo, “the systems and tools of governance are increasingly digital, open and networked”. Senza alcuna retorica e con molta chiarezza, Heene e Sanchez [11] hanno descritto il paradigma CBM – Competence Based Management in questo modo: “is a way of thinking about how organizations gain high performance for a significant period of time”. In contesti del genere, infatti, il vantaggio competitivo diviene prerogativa delle organizzazioni che accumulano risorse sviluppando competenze per ricombinarle fra loro in modo originale e adatto ai mutamenti del contesto. Sviluppare, dunque, e ricombinare competenze per produrre i risultati attesi: questo, in estrema sintesi, il modello di organizzazione e gestione per competenze. L’integrazione funzionale delle conoscenze tecnico-specialistiche con le competenze e i comportamenti, radicati nelle risorse personali e caratteriali del prestatore, esprime il valore di professionalità richiesto al lavoratore e consente di riferire ad esso la sintesi spenceriana, ormai quasi un mantra, che la professionalità interpreta come integrazione [continua ..]


4. Ecosistemi professionali

A ben vedere, inoltre, la semplificazione narrativa focalizzata su professionalità e merito rischia di produrre una torsione, se non proprio una distorsione, concettuale: orientando l’attenzione dell’interprete sulla dimensione individuale della prestazione di lavoro (e conseguentemente sull’imputazione altrettanto individuale delle eventuali inefficienze), potrebbe indurre a trascurare, al contempo, che la valorizzazione effettiva e positiva di conoscenze, competenze e comportamenti presuppone ed impone un sistema organizzativo e un sistema professionale funzionalmente tra loro integrati ed orientati a sostenere un modo di lavorare che sia – come è stato detto – “no longer simply about task execution; it’s about creating new sources of value for customers and the business” [15]. E il valore da considerare e da creare è qui il c.d. valore pubblico, “produced by public managers successfully navigating a strategic triangle encompassing (1) producing valued outcomes, and doing so within the constraints of (2) available resources and capability, and (3) the authorizing environment of formal and informal jurisdiction, legal frameworks, and mandate” [16]. Non si tratta soltanto di introdurre nuovi concetti, peraltro seguendo la scia del d.m. 1 dicembre 2021 relato al PIAO, ma piuttosto di valorizzare il fatto che “Value and values are closely linked. Seen through the lens of public value, the ethos and values of any public organisation, service provider or profession must be judged by how appropriate they are to the creation of value: better outcomes, services and trust. Inappropriate values may lead to the destruction of public value” [17]. A tal riguardo, però, bisogna riconoscere che “i tradizionali modelli organizzativi burocratici e i sistemi di gestione delle persone basati solo su gerarchia, procedure, mansioni” “richiedono ai singoli prassi contrastanti con i comportamenti richiesti” [18] e riconoscere anche, al contempo, che lo sviluppo di “sistemi” idonei a “indu(rre) e sosten(ere) le competenze e i comportamenti attesi richiedono un impianto concettuale e operativo diverso e solido, che si ispira ma non copia il [continua ..]


5. Linee di indirizzo

Com’è noto, il passaggio dall’emergenza alla ripartenza postpandemica, cadenzato dall’elaborazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha posto in massima evidenza l’importanza dell’amministrazione pubblica al fine non solo di sostenere i processi di innovazione produttiva ma ancor più di assicurare la coesione sociale. Conseguentemente, nella Missione 1 Componente 1.2. del PNRR, dedicata alla “modernizzazione della pubblica amministrazione”, è delineata una strategia di intervento, definita “profonda e articolata”, destinata, almeno nelle intenzioni, a garantire “un deciso miglioramento” su tre versanti: a) efficienza ed efficacia dei processi tramite digitalizzazione; b) rafforzamento delle competenze del capitale umano nelle amministrazioni; c) una drastica semplificazione burocratica”. Nell’ambito delle azioni considerate, risulta qui di interesse la linea di Riforma 2.1. il cui obiettivo è dare concretezza al (condivisibile) assunto secondo cui “la modernizzazione della Pubblica Amministrazione richiede una migliore e più efficiente selezione delle persone”. A tanto mira, fra l’altro, la previsione di una pluralità di interventi destinati a “riformare le procedure e le regole per il reclutamento dei dipendenti pubblici”, a partire dall’analisi dei fabbisogni professionali per arrivare al miglioramento dei meccanismi selettivi “coerentemente con la necessità di valorizzare non soltanto le conoscenze ma anche le competenze”; a partire ancora dalla definizione di modalità sicure e certificate di svolgimento anche a distanza delle prove, per arrivare alla progettazione di sistemi veloci ed efficaci di reclutamento. Le “Linee di indirizzo per l’individuazione dei nuovi fabbisogni professionali da parte delle amministrazioni pubbliche”, adottate con decreto interministeriale del 22 luglio 2022 [23], definiscono il quadro concettuale all’interno del quale collocare i successivi documenti di indirizzo relativi ai concorsi, alla formazione e alla valutazione. L’insieme di tali documenti configura un ambizioso progetto riformatore destinato ad incidere anzitutto e soprattutto sulla cultura interna e sulle prassi organizzative delle amministrazioni, collocando in secondo piano – ed [continua ..]


6. Linee guida e Framework

Assunto il carattere baricentrico della nuova policy innervata nelle competenze – per tali intendendo l’insieme delle conoscenze, capacità tecniche e comportamentali indispensabili allo svolgimento ottimale dei compiti richiesti per raggiungere un risultato e ricondotti ad una mansione – il passo successivo non può che essere la definizione delle modalità per assicurarne la ricognizione e la valutazione, in sede concorsuale, dal momento che l’adeguata e fattiva integrazione tra competenze e conoscenze concorre nel definire il contenuto di professionalità richiesto al candidato e quindi al lavoratore nell’esecuzione della prestazione dovuta. La prospettiva strategica fatta propria dal PNRR trova concreta implementazione, allo stato, in due documenti di significativa rilevanza, entrambi elaborati da un gruppo di lavoro della Scuola Nazionale di Amministrazione: le “linee guida sull’accesso alla dirigenza pubblica” (assunte con d.m. del 28 settembre 2022) e il “framework delle competenze trasversali del personale di qualifica non dirigenziale” (d.m. 28 giugno 2023). Le linee guida trovano base giuridica nell’art. 3, comma 3, del d.l. 80/2021. Novellando l’art. 28 del d.lgs. 165 esso dispone che i bandi per le procedure concorsuali destinati al reclutamento di dirigenti debbano definire non solo le “conoscenze” da accertare ma anche gli “ambiti delle competenze” da verificare, richiedendo in particolare che attraverso “prove finalizzate alla loro osservazione e valutazione comparativa” secondo “metodologie e standard riconosciuti”, siano valutate capacità, attitudini e motivazioni individuali. Per un “concreto supporto alle amministrazioni” su “come strutturare le selezioni”, le linee guida propongono i principi metodologici dell’Assessment Center [24] “quale strumento di comprovato successo nei processi di selezione di figure manageriali, finalizzati alla valutazione delle competenze che caratterizzano la posizione da ricoprire”. Uno strumento che le linee guida reputano idoneo a consentire l’inserimento nei ruoli di dirigenti effettivamente capaci di esercitare il loro ruolo e ad allineare la disciplina del reclutamento con quella dettata per la gestione del rapporto di lavoro, in particolare [continua ..]


7. Prove situazionali

Tenendo conto del nuovo scenario relativo ai percorsi di reclutamento, credo sia opportuno richiamare l’attenzione sulle modalità di accertamento e valutazione delle competenze richieste mediante le c.d. prove situazionali, che le linee guida definiscono elemento “peculiare e irrinunciabile” dell’Assessment Center. Anche a tal fine la novella del d.P.R. n. 487/1994, operata dal d.P.R. n. 82/2023, prevede l’inse­rimento nelle commissioni concorsuali, come componenti aggiunti, di “specialisti in psicologia e risorse umane” e di “professionisti esperti (…) specializzati nella valutazione delle capacità, attitudini, motivazioni individuali e dello stile comportamentale”. È proprio su tale specifica tipologia di prove che la giurisprudenza amministrativa è stata già chiamata più volte ad esprimersi, con risultati ancora non pienamente assestati. Prima di dare conto dei diversi orientamenti, e per meglio comprendere le questioni connesse, è opportuno riportare uno dei quesiti situazionali sottoposti a giudizio: “Un collaboratore ha da poco avuto una bambina, oltre ai soliti pasticcini in ufficio, mi ha invitato ad una festa a casa sua. Non sono stati invitati anche altri colleghi”. A fronte di questa ipotetica situazione, al candidato sono offerte tre possibili soluzioni, una considerata più efficace, in quanto indicativa di un comportamento proattivo; una considerata meno efficace, espressione di un comportamento adattivo; una terza, infine, giudicata neutra in quanto considerata conservativa, volta cioè soltanto a neutralizzare eventuali problematiche. Le soluzioni proposte in sede di prova sono le seguenti: “1. Gli faccio capire che non è molto opportuno invitare solo me a questa festa; esistono dei rapporti formali da rispettare e anche se posso avere un atteggiamento amichevole, è bene tenere distinti i due ambiti: lavoro e vita privata; 2. Accetto di partecipare per non passare da maleducato, ma mi trattengo il meno possibile; 3. Rifiuto con una scusa, non ritengo sia opportuno creare un precedente soprattutto agli occhi degli altri colleghi” (TAR Lazio, IV, n. 14948/2023 e CdS, VII, n. 6587/2023, CdS, VII, n. 9487/2023, CdS, VII, n. 9461/2023). Naturalmente anche altri sono stati i quesiti sottoposti a contestazione dinanzi all’autorità [continua ..]


8. Formazione e valutazione

Se è vero che “sulle persone si gioca il successo non solo del PNRR ma di qualsiasi politica pubblica indirizzata a cittadini e imprese” ne segue che la professionalità acquista senso e significato non solo nella fase di reclutamento ma anche in quella successiva di sviluppo del percorso professionale e di valutazione della prestazione erogata. In questa centralità sistemica trovano ragione altre due recenti direttive formulate dal Ministro per la Pubblica Amministrazione su entrambi i profili indicati. Per quanto riguarda la formazione, la direttiva ministeriale del 23 marzo 2023 (“Pianificazione della formazione e sviluppo delle competenze funzionali alla transizione digitale, ecologica e amministrativa promosse dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”) non si limita a configurarla come obbligatorio obiettivo di performance dei dirigenti ma definisce specifiche “priorità di investimento” al fine di: assicurare lo sviluppo delle competenze funzionali alla transizione digitale, “fornire competenze e conoscenze finalizzate al ruolo” nei percorsi formativi iniziali di inserimento professionale; promuovere lo sviluppo delle soft skill. A tal fine, la stessa direttiva ribadisce la necessità di abbandonare un approccio occasionale e frammentario alla formazione e l’esigenza di considerarla invece nella prospettiva di una programmazione strategica, icasticamente definita come “ciclo di gestione della formazione”, che prende abbrivio nell’analisi delle competenze funzionali alla transizione più che dai “mestieri delle amministrazioni”. Riguardata in questa prospettiva, la professionalità, intesa come sintesi proattiva tra conoscenze e competenze, costituisce l’elemento di continuità che consente di leggere in modo unitario le trasformazioni delle procedure di reclutamento, dei processi di formazione e dei sistemi contrattuali di inquadramento, ai quali tra poco sarà dedicata attenzione. Peraltro, è da ricordare che il d.l. n. 44/2023 prevede all’art. 1, comma 14-sexies che tra i contenuti necessari del Piano integrato di attività e organizzazione, siano indicati gli obiettivi, le risorse e le metodologie per la formazione del personale, dovendo le amministrazioni individuare al proprio interno i dirigenti e funzionari che possono essere impegnati nella realizzazione [continua ..]


9. Aree Famiglie Profili Mansioni

Dalla considerazione globale degli atti di indirizzo adottati in questo ultimo biennio, risulta evidente il tentativo ministeriale di traghettare le amministrazioni verso una nuova e diversa considerazione delle risorse umani disponibili, anche all’evidente e dichiarato fine di assicurare flessibilmente tempestive e adeguate risposte alle variazioni della domanda esterna e ai cambiamenti provocati dall’im­patto della transizione digitale sull’organizzazione interna. La valorizzazione delle competenze, enfatizzando la professionalità del dipendente nell’esecuzione della prestazione contrattualmente dovuta, reca con sé l’esigenza di rivedere, adeguandoli, i tradizionali sistemi di inquadramento e di classificazione professionale. Tanto hanno assicurato, sia pure in modo non omogeneo, i contratti nazionali stipulati nel corso del 2022 per il personale del comparto e negli ultimi mesi del 2023 per il personale dell’area dirigenziale [26]. Il contratto che meglio corrisponde alle linee di indirizzo ministeriali è, fors’an­che per intuibili motivi, quello del 9 maggio 2022 per il comparto delle Funzioni Centrali, che propone un nuovo modello di inquadramento e classificazione articolato in aree e famiglie professionali (art. 13). Le aree (Operatori, Assistenti, Funzionari, Elevate Professionalità) sono definite dal contratto come “livelli omogenei di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento di una vasta e diversificata gamma di attività lavorative”, in tal modo riassumendo la definizione che delle aree è data dalle linee di indirizzo, senza riportarne però l’icastica ma efficace definizione a stregua di “contenitore giuridico”. Effettivamente, però, proprio tale è la funzione dell’area, rappresentata dalle parti, nell’usuale stile delle declaratorie contrattuali, come il punto di raccolta dell’insieme di lavoratori che svolgono attività accomunate da un medesimo livello di specificità organizzativa. All’interno dell’area sono poi individuate le famiglie professionali, definite, ripetendo pedissequamente la definizione delle linee di indirizzo, come “ambiti professionali omogenei caratterizzati da competenze similari o da una base professionale e di conoscenza comune”. Per meglio [continua ..]


10. Dirigente mentore

Avviandomi alla conclusione della ricognizione proposta, una osservazione finale deve essere rivolta ai contratti dell’area dirigenziale. Al momento, l’unico sottoscritto è quello delle Funzioni Centrali del 16 novembre 2023. È ancora in fase di approvazione l’ipotesi sottoscritta in data 11 dicembre 2023 relativamente all’area delle Funzioni Locali. In entrambi (art. 18 del primo, art. 20 del secondo) è prevista una specifica disciplina destinata a realizzare “un sistema strutturato basato sullo scambio di conoscenze, competenze ed esperienze maturate nel tempo” da parte della dirigenza già in servizio verso il personale dirigente neoassunto. Si tratta di un utile strumento di affiancamento all’ingresso a beneficio dei neoassunti, dirigenti e “professionisti”, in aggiunta ai normali canali di formazione. Il ruolo del mentore, dirigente o professionista che sia, è quello di fornire “supporto, informazioni, incoraggiamento e consiglio (…) sulla vita e l’esperienza lavorativa avuta in seno all’amministrazione”. Questo incontro tra persone e storie professionali ha carattere informale e paritario e la fiducia tra le parti rafforza lo scambio delle competenze e delle esperienze acquisite “contribuendo anche a trasferire al neoassunto la cultura e la missione dell’ammini­strazione, i codici e comportamenti informali esistenti, nonché la consapevolezza del ruolo da assolvere”. Ciò detto, la norma provvede poi a definire regole relative alla composizione dell’albo, ai requisiti abilitanti l’iscrizione in esso dei dirigenti interessati a condizione di avere almeno quindici anni di anzianità, a definire l’interesse del neoassunto di assimilare e apprendere con “spirito collaborativo e diligenza”. La qual cosa dimostra ancora una volta quanto sia difficile tradurre significative innovazioni organizzative in regole giuridiche, quando queste ultime sono costruite con lo sguardo rivolto al passato.


11. Conclusioni provvisorie

Dalla ricognizione fin qui proposta, mi pare sia possibile trarre alcune conclusioni ancora a carattere provvisorio, dal momento che le amministrazioni sono immerse in una evidente fase di transizione segnata, come sempre in questi casi, da elementi di innovazione e da tratti invece inerzialmente legati a ragioni e metodi pregressi. Ma proprio per questo motivo è necessario, a me pare, uno sforzo interpretativo in grado di accompagnare la transizione, senza cedere alla tentazione di un banalizzante e per alcuni versi anche lamentoso appiattimento su ciò che potrebbe essere e non è (ancora) stato. A tale stregua, a me pare che il primo elemento su cui focalizzare l’attenzione sia l’esigenza di chiarire che, da un punto di vista strettamente giuridico, professionalità non esprime un elemento autonomo nello schema contrattuale ma soltanto una modalità di esecuzione della prestazione dovuta secondo la diligenza richiesta dalla sua natura e dall’interesse dell’impresa ad una funzionale ed efficace integrazione della prestazione nell’organizzazione. Ciò significa che la diligenza non può essere risolta, secondo uno schema tradizionale, nella mera applicazione delle regole dell’arte tenendo a mente l’approccio tipico dell’industria manifatturiera, ma chiede semmai di rivisitare, attualizzandole, le stesse “regole dell’arte” in contesti organizzativi molto più dinamici, relazionali, performativi e ad alto tasso di innovazione digitale. In questi contesti, per usare una formula reiterata a mo’ di mantra, è necessario sapere, saper fare e saper essere; e dunque diligente è il prestatore che esegue la sua mansione integrando in modo adeguato sapere, saper fare e saper essere: in altri termini, è diligente il lavoratore che esegue la sua prestazione in modo professionale. Per questa ragione, può dirsi con sufficiente certezza che la professionalità è una modalità di esecuzione della prestazione dovuta che rende diligentemente adempiente il debitore della prestazione di lavoro. Il secondo elemento da porre in evidenza è che l’integrazione tra sapere, fare ed essere si traduce, sul piano concreto, nella integrazione tra conoscenze tecnico-specialistiche, competenze e comportamenti, portando al centro della scena organizzativa la persona con [continua ..]


11. Conclusioni provvisorie

Dalla ricognizione fin qui proposta, mi pare sia possibile trarre alcune conclusioni ancora a carattere provvisorio, dal momento che le amministrazioni sono immerse in una evidente fase di transizione segnata, come sempre in questi casi, da elementi di innovazione e da tratti invece inerzialmente legati a ragioni e metodi pregressi. Ma proprio per questo motivo è necessario, a me pare, uno sforzo interpretativo in grado di accompagnare la transizione, senza cedere alla tentazione di un banalizzante e per alcuni versi anche lamentoso appiattimento su ciò che potrebbe essere e non è (ancora) stato. A tale stregua, a me pare che il primo elemento su cui focalizzare l’attenzione sia l’esigenza di chiarire che, da un punto di vista strettamente giuridico, professionalità non esprime un elemento autonomo nello schema contrattuale ma soltanto una modalità di esecuzione della prestazione dovuta secondo la diligenza richiesta dalla sua natura e dall’interesse dell’impresa ad una funzionale ed efficace integrazione della prestazione nell’organizzazione. Ciò significa che la diligenza non può essere risolta, secondo uno schema tradizionale, nella mera applicazione delle regole dell’arte tenendo a mente l’approccio tipico dell’industria manifatturiera, ma chiede semmai di rivisitare, attualizzandole, le stesse “regole dell’arte” in contesti organizzativi molto più dinamici, relazionali, performativi e ad alto tasso di innovazione digitale. In questi contesti, per usare una formula reiterata a mo’ di mantra, è necessario sapere, saper fare e saper essere; e dunque diligente è il prestatore che esegue la sua mansione integrando in modo adeguato sapere, saper fare e saper essere: in altri termini, è diligente il lavoratore che esegue la sua prestazione in modo professionale. Per questa ragione, può dirsi con sufficiente certezza che la professionalità è una modalità di esecuzione della prestazione dovuta che rende diligentemente adempiente il debitore della prestazione di lavoro. Il secondo elemento da porre in evidenza è che l’integrazione tra sapere, fare ed essere si traduce, sul piano concreto, nella integrazione tra conoscenze tecnico-specialistiche, competenze e comportamenti, portando al centro della scena organizzativa la persona con [continua ..]


11. Conclusioni provvisorie

Dalla ricognizione fin qui proposta, mi pare sia possibile trarre alcune conclusioni ancora a carattere provvisorio, dal momento che le amministrazioni sono immerse in una evidente fase di transizione segnata, come sempre in questi casi, da elementi di innovazione e da tratti invece inerzialmente legati a ragioni e metodi pregressi. Ma proprio per questo motivo è necessario, a me pare, uno sforzo interpretativo in grado di accompagnare la transizione, senza cedere alla tentazione di un banalizzante e per alcuni versi anche lamentoso appiattimento su ciò che potrebbe essere e non è (ancora) stato. A tale stregua, a me pare che il primo elemento su cui focalizzare l’attenzione sia l’esigenza di chiarire che, da un punto di vista strettamente giuridico, professionalità non esprime un elemento autonomo nello schema contrattuale ma soltanto una modalità di esecuzione della prestazione dovuta secondo la diligenza richiesta dalla sua natura e dall’interesse dell’impresa ad una funzionale ed efficace integrazione della prestazione nell’organizzazione. Ciò significa che la diligenza non può essere risolta, secondo uno schema tradizionale, nella mera applicazione delle regole dell’arte tenendo a mente l’approccio tipico dell’industria manifatturiera, ma chiede semmai di rivisitare, attualizzandole, le stesse “regole dell’arte” in contesti organizzativi molto più dinamici, relazionali, performativi e ad alto tasso di innovazione digitale. In questi contesti, per usare una formula reiterata a mo’ di mantra, è necessario sapere, saper fare e saper essere; e dunque diligente è il prestatore che esegue la sua mansione integrando in modo adeguato sapere, saper fare e saper essere: in altri termini, è diligente il lavoratore che esegue la sua prestazione in modo professionale. Per questa ragione, può dirsi con sufficiente certezza che la professionalità è una modalità di esecuzione della prestazione dovuta che rende diligentemente adempiente il debitore della prestazione di lavoro. Il secondo elemento da porre in evidenza è che l’integrazione tra sapere, fare ed essere si traduce, sul piano concreto, nella integrazione tra conoscenze tecnico-specialistiche, competenze e comportamenti, portando al centro della scena organizzativa la persona con [continua ..]



NOTE

[1] CAUSARANO, Dimensioni e trasformazioni della professionalità, in CIPRIANI-GRAMOLATI-MARI, Il lavoro 4.0 La quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze, 2018, 159. Forse può non essere una mera curiosità ricordare qui la definizione che della professionalità dava un risalente accordo collettivo in Zanussi riportata da GIUGNI, Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, in RGL, 1973, I, 4, nota 4: “insieme di conoscenze e capacità derivanti dalla formazione di base (titolo di studio o livello culturale equivalente), dalle conoscenze professionali specifiche, dall’esperienza acquisita e concretamente utilizzabile”. [2] RICOLFI, La rivoluzione del merito, Milano, 2023, 7. [3] BUTERA, Un sistema professionale nella Pubblica Amministrazione? La progettazione dei ruoli e delle professioni a larga banda. Sciogliere tre nodi: progettazione dei servizi, gestione del cambiamento, semplificazione delle forme di rappresentazione e regolazione del lavoro, in LDE, 2022, 3, 3. [4] RICOLFI, La rivoluzione, cit., 161. [5] GARILLI, Profili dell’organizzazione e tutela della professionalità nelle pubbliche amministrazioni, in DLRI, 2014, 1 ss. [6] PINTO, Contratto di lavoro e professionalità, in EdD (Tematici, VI, Contratto di lavoro), Milano, 2023. [7] DELL’ARINGA, Professionalità e approccio economico, in NAPOLI (a cura di), La professionalità, Milano, 2004, 92. [8] LOY, Professionalità e rapporto di lavoro, in NAPOLI (a cura di), La professionalità, cit., 6. [9] VISCOMI, Diligenza e prestazione di lavoro, Torino, 1997, p. 136. L. ZOPPOLI, Conclusioni, in ESPOSITO (a cura di), Mansioni e professionalità nel pubblico impiego tra efficienza organizzativa e diligenza del prestatore di lavoro, Napoli, 2007. [10] OECD, Skills for a High Performing Civil Service, 2017, Paris doi.org/10.1787/9789264280724-en. [11] SANCHEZ, HEENE, Reinventing strategic management: New theory and practice for competence-based competition, in Eur. Management Jour., 1997, 3, 303. [12] SPENCER-SPENCER, Competence at Work: Models for Superior Performance, Wiley, Hoboken, [continua ..]