Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Amministrazioni e politica: note dal Mezzogiorno d'Italia (di Nunzio Angiola, Professore ordinario di Economia aziendale nell’Università di Foggia. Consigliere comunale a Foggia. Marco Barbieri, Professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari.)


Il lavoro mira ad esplorare la capacità amministrativa delle istituzioni pubbliche meridionali in Italia, in un contesto di trasformazioni in corso. Gli autori indagano le dinamiche tra politica e amministrazione, focalizzandosi in particolare sugli effetti negativi derivanti da un rapporto disfunzionale tra questi due ambiti. L’analisi si concentra sull’evoluzione legislativa che ha influenzato il rapporto tra politica e dirigenza, tentando di identificare le radici dell’inefficienza e dell’inefficacia amministrativa.

I risultati evidenziano che la principale problematica non deriva tanto dall’ingerenza della politica nello spazio amministrativo, quanto dal fenomeno della “politica senza Partiti”, caratteristico del­l’Italia della cosiddetta seconda Repubblica. Questa situazione ha portato a una crisi di rappresentanza, con effetti negativi sulla percezione della politica da parte dei cittadini e un aumento dell’astensionismo e delle tendenze antipolitiche. Inoltre, si sottolinea come il reclutamento della dirigenza pubblica, spesso orientato verso il modello del settore privato, abbia prodotto dinamiche complesse e talvolta controproducenti, data la specificità del ruolo del dirigente pubblico rispetto a quello privato.

Il lavoro fornisce un’analisi critica del rapporto tra politica e amministrazione nelle istituzioni pubbliche italiane, evidenziando come le problematiche di inefficienza e inefficacia non possano essere risolte solo con interventi legislativi, ma richiedano un approccio più ampio che consideri le dinamiche politiche e sociali.

Administrations and politics: insights from southern Italy

This study seeks to examine the administrative capabilities of Southern Italy’s public institutions amidst ongoing transformations. The authors delve into the interplay between politics and administration, with a special focus on the adverse outcomes of a dysfunctional relationship between these domains. The research concentrates on the legislative developments that have shaped the interaction between political leadership and management, aiming to unearth the roots of administrative inefficiency and ineffectiveness.

The findings point out that the main issue is not so much the political encroachment in administrative realms but rather the phenomenon of “politics without parties”, a hallmark of the era known as Italy’s Second Republic. This condition has led to a representation crisis, negatively affecting how citizens view politics and contributing to a rise in voter apathy and anti-political sentiments. Additionally, it is highlighted that the approach to public management recruitment, often modelled after the private sector, has engendered complex and sometimes counterproductive dynamics due to the unique nature of public versus private management roles.

The study offers a critical analysis of the relationship between politics and administration within Italian public institutions, underscoring that inefficiency and ineffectiveness issues cannot be addressed solely through legislative measures but require a more comprehensive approach that takes into account political and social dynamics.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La capacità amministrativa delle istituzioni pubbliche meridionali e il rapporto tra politica e amministrazione - 3. Politica, amministrazione e reclutamento della dirigenza pubblica - 4. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

È piuttosto nota e generalmente accettata l’idea che l’esistenza di un Mezzogiorno – cioè di una grande area pari a poco più di un terzo del Paese tanto per popolazione quanto per estensione – sia un elemento di freno considerevole per l’in­tero Paese, per la presenza di una vasta capacità produttiva sottoutilizzata e per le incrinature nella vita civile che dal Sud si sono gradatamente diffuse all’intero Paese. Ma è pure noto che la questione meridionale, che tanto ha affaticato intellettuali di ogni estrazione disciplinare e di ogni tendenza ideologica, è anche una questione di debolezza della democrazia nel Mezzogiorno, non alterata se non momentaneamente e parzialmente dalle profonde trasformazioni storiche che l’hanno attraversato. Con questa premessa, vorremmo affrontare sinteticamente la questione della capacità amministrativa delle istituzioni pubbliche meridionali, e della loro idoneità a gestire la complessa situazione in cui ci troviamo. È piuttosto nota e generalmente accettata l’idea che l’esistenza di un Mezzogiorno – cioè di una grande area pari a poco più di un terzo del Paese tanto per popolazione quanto per estensione – sia un elemento di freno considerevole per l’in­tero Paese, per la presenza di una vasta capacità produttiva sottoutilizzata e per le incrinature nella vita civile che dal Sud si sono gradatamente diffuse all’intero Paese. Ma è pure noto che la questione meridionale, che tanto ha affaticato intellettuali di ogni estrazione disciplinare e di ogni tendenza ideologica, è anche una questione di debolezza della democrazia nel Mezzogiorno, non alterata se non momentaneamente e parzialmente dalle profonde trasformazioni storiche che l’hanno attraversato. Con questa premessa, vorremmo affrontare sinteticamente la questione della capacità amministrativa delle istituzioni pubbliche meridionali, e della loro idoneità a gestire la complessa situazione in cui ci troviamo.


2. La capacità amministrativa delle istituzioni pubbliche meridionali e il rapporto tra politica e amministrazione

Come si sa, nella vulgata dominante i problemi delle amministrazioni pubbliche sarebbero inefficienza e corruzione; nella versione più sofisticata, che ha avuto largo corso nei decenni scorsi anche nel dibattito scientifico giuslavoristico ed economico-aziendale, il cui dialogo sul tema a nostro giudizio andrebbe reso più fitto e continuo, l’inefficienza deriverebbe da un cattivo rapporto tra politica e amministrazione. In questo senso, le riforme che hanno percorso l’ultimo trentennio appaiono contrassegnate dal tentativo del legislatore di conformare questo rapporto nel segno di una distinzione (le versioni più grossolane parlano addirittura di separazione) tra le funzioni dell’una e le funzioni dell’altra. In realtà, il quadro giuridico è meno semplice di quello che queste semplificazioni facciano intendere, e ad esso dobbiamo dedicare alcune considerazioni. In primo luogo, va osservato che non tutte le Amministrazioni Pubbliche possono essere definite dirette portatrici di un indirizzo politico, o anche semplicemente politico-amministrativo [1]. Lo sono, naturalmente, le Amministrazioni che hanno organi di governo che ripetono la propria legittimazione da procedimenti elettorali, più o meno diretti: in questo senso lo sono i Ministeri, per il circuito elezioni-Parlamento-Governo-fiducia parlamentare; lo sono le Regioni, i Comuni, le Province; lo sono anche le Camere di Commercio e le Università, tradizionalmente espressione di autogoverno delle categorie o dei partecipanti alle rispettive comunità. Non lo sono in via diretta, evidentemente, gli enti pubblici non economici che non siano espressione di una base associativa, anche obbligatoria per legge, o le strutture (ASL, Aziende Ospedaliero-Universitarie, IRCCS) del Sistema Sanitario Nazionale o le istituzioni assistenziali. Naturalmente, anche in tali circostanze, si parla di aziende pubbliche ossia di aziende con soggetto economico pubblico. Potremmo dire diversamente che le strutture del SSN hanno un vertice solo dirigenziale. In altri enti pubblici (INPS, INAIL, CNR, CRI, ecc.) è presente l’organo di indirizzo politico-amministrativo ed è costituito da soggetti nominati dalle Amministrazioni Pubbliche sovraordinate (es. Presidente dell’Ente, Commissario, ecc.). Questa distinzione, che ha una serie di conseguenze applicative che ora non interessano, va tuttavia tenuta sempre presente [continua ..]


3. Politica, amministrazione e reclutamento della dirigenza pubblica

Ma c’è un altro profilo collegato cui vorremmo fare cenno: la disciplina dei metodi di reclutamento della dirigenza. Come si sa, a un certo punto il legislatore si è convinto che la soluzione dei mali endemici delle Pubbliche Amministrazioni fosse l’importazione di manager dall’impresa privata [24]. L’art. 19, c. 6, del d.lgs. n. 165/2001, disposizione introdotta nel 1998 con il d.lgs. n. 80 e più volte modificata, prevede l’affidamento di incarichi dirigenziali a personale esterno. Se dovessimo giudicare dalla nostra personale esperienza di amministratori e da quel che ci è stato più volte riferito, diremmo che questa idea si è rivelata discutibile e talvolta fallimentare. Si deve qui ipotizzare che vi sia una ragione in questo. Tale ragione, nella nostra opinione, sta nel fatto che dirigente pubblico e dirigente privato sono due mestieri differenti, che richiedono capacità differenti [25]. Mentre nell’impresa privata si produce per il mercato e per il profitto, donde il risultato economico costituisce un «… indicatore sintetico di efficaci ed efficienti (se positivo) o inefficaci ed inefficienti (se negativo) scelte di gestione» [26], le Amministrazioni Pubbliche svolgono prevalentemente processi produttivi di tipo erogativo di beni o prevalentemente servizi e, pertanto, la soddisfazione dei bisogni dei destinatari delle loro attività avviene direttamente, non tramite il mercato. Com’è noto, gli utenti dei servizi pubblici non sempre pagano un prezzo e, quando ciò avviene, si tratta di prezzi quasi mai remunerativi per chi li eroga. Pertanto, il giudizio di efficacia e di efficienza non è sintetizzato nel risultato economico, piuttosto il successo aziendale va verificato sulla base di un’analisi puntuale e autonoma dei livelli di efficacia ed efficienza, che è cosa assai più complessa. Infatti, tale analisi richiede la raccolta di una mole non indifferente di informazioni di natura, anche e soprattutto, non monetaria, che riflette anche la numerosità degli scopi fissati e affidati dal­l’ordinamento. Peraltro, le Amministrazioni Pubbliche hanno come principale fonte di legittimazione nei confronti della collettività l’efficacia: se raggiunge gli scopi, saranno tollerati persino gli sprechi; se non li raggiunge, la parsimoniosità non riceverà [continua ..]


4. Conclusioni

Nel presente lavoro ci siamo soffermati – da punti di vista disciplinari differenti, ma dialoganti, e con una esperienza pratica, professionale e di amministratori, che si è coniugata con la riflessione scientifica in queste note – sul tema della capacità amministrativa delle istituzioni pubbliche meridionali in relazione alle trasformazioni in corso. Le nostre riflessioni si sono incentrate sugli effetti negativi che secondo noi deriverebbero da un cattivo rapporto tra politica e amministrazione. Attraverso la disamina dell’evoluzione legislativa che ha strutturato il rapporto tra politica e dirigenza, ci siamo sforzati di andare alla radice del problema, cercando di capire se e quanto fosse vera l’affermazione che l’inefficienza e l’inefficacia delle istituzioni pubbliche dipendesse dallo sconfinamento della politica nelle funzioni assegnate dal legislatore alla dirigenza, o se questo fenomeno convivesse con quello opposto, della cattura dell’indirizzo politico da parte della dirigenza. Senza negare l’esistenza di uno scambio hobbesiano tra protezione e obbedienza, dove i protagonisti sono gli amministratori e i vertici dirigenziali, abbiamo ritenuto che non fosse generalmente vera l’affermazione secondo cui il problema derivi dalla invasione di campo della politica nello spazio riservato dalla legge alla gestione amministrativa svolta dalla dirigenza pubblica. Abbiamo invece posto l’accento sul più complesso fenomeno della “politica senza Partiti”, che tanto ha fatto parlare di sé nell’Italia della c.d. seconda Repubblica, una politica lacunosa in termini di capacità di rappresentanza, di capacità di individuare una idea di futuro, di scomporla in un fascio coerente di piani, programmi e progetti. E, in un contesto come questo, quello cioè della politica senza Partiti, il cittadino-elettore è rimasto disorientato, gli è mancata la possibilità di percepire la differenza tra un partito/movimento e l’altro, tra un candidato e l’altro, con conseguente e inesorabile caduta di credibilità dell’intera classe politica. Il refrain del “so’ tutti uguali”, ha soffiato vento sul fuoco dell’astensionismo, quando non ha alimentato pericolose pulsioni di antipolitica. La vorticosa proliferazione, soprattutto nel Mezzogiorno, nelle competizioni amministrative, [continua ..]


NOTE