Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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La libertà di manifestazione del pensiero degli appartenenti a Forze armate e Polizia di Stato. La rilevanza disciplinare delle espressioni, tra prestigio, immagine e clamore social (di Claudio Costanzo, Dottorando di ricerca in Pluralismi Giuridici. Prospettive antiche e attuali nell’Università degli Studi di Palermo.)


Alcune recenti vicende dell’attualità politica rendono opportuno indagare con attenzione se e quale rilevanza disciplinare possano assumere le espressioni del pensiero di certi pubblici funzionari, gli appartenenti a Forze armate e di Polizia, la cui disciplina, per le funzioni svolte e i compiti assolti presenta alcune particolarità. In specie, è oggetto di analisi il delicato bilanciamento tra legittime espressioni rientranti nell’alveo della propria vita privata e le esigenze di neutralità, esemplarità e tutela dell’immagine pubblica di amministrazioni tanto vitali, specialmente quando la manifestazione del pensiero avvenga nelle pubbliche piazze dei social o riguardi argomenti di stretta attualità. Il contributo è finalizzato ad analizzare quali limitazioni possano essere stabilite per i diritti degli appartenenti a Forze armate e di Polizia, analizzando i rispettivi ordinamenti disciplinari e i principali orientamenti giurisprudenziali in materia di libertà di espressione, nel tentativo di individuare l’esatta e legittima dimensione dei beni la cui lesione è considerata disciplinarmente rilevante.

The freedom of expression of members of the armed forces and state police. the disciplinary relevance of expressions between prestige, image and social network clamour

Some recent events in the political news make it opportune to carefully investigate whether and what disciplinary relevance may be assumed by the expressions of thought of certain public officials, members of the Armed Forces and of the Police Force, whose discipline, due to the functions and tasks they perform, presents certain peculiarities. In particular, the subject of analysis is the delicate balance between legitimate expressions falling within the scope of one’s private life and the requirements of neutrality, exemplariness and protection of the public image of administrations that are so vital, especially when the manifestation of thought takes place in the public squares of social networks or concerns strictly topical issues. The contribution is aimed at analysing what limitations may be established for the rights of members of the Armed Forces and Police Force, analysing the respective disciplinary systems and the main jurisprudential orientations on freedom of expression, in an attempt to identify the exact and legitimate dimension of the legal assets whose infringement is considered to be disciplinarily relevant.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Forze in armi e assetto costituzionale. I limiti impliciti alla libertà di manifestazione del pensiero - 3. Potere disciplinare, disciplina militare ed esternazioni fuori servizio. Dal diritto di critica social al caso Vannacci - 4. Doveri istituzionali degli appartenenti alla Polizia di Stato ed espressioni del pensiero fuori servizio: potere disciplinare e tutela dell’immagine - NOTE


1. Introduzione

Indagare il rapporto tra funzioni antiche e fondamentali, come la difesa dello Stato e la sicurezza pubblica, e libertà costituzionali non è un compito nuovo. Eppure, bilanciare le esigenze della libertà con quelle delle strutture gerarchiche che realizzano tali funzioni non è una questione risolta con il superamento teorico della separatezza dell’ordinamento militare, poiché entrambi i pesi del bilanciamento si rigenerano, si modificano, si adattano, si modernizzano. In questa dinamica, di particolare interesse è l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, che, anche per la sua portata “personalissima”, a fronte di funzioni tradizionalmente esercitate in uniforme, è spesso discusso e oggetto di attenzioni nel dibattito pubblico. Il confronto tra libertà e limiti imposti dall’esercizio di funzioni pubbliche estremamente importanti si fa ancora più discusso quando si considerano le ampie possibilità di diffondere il proprio pensiero attraverso le piazze informatiche dei social network o delle app di socializzazione, anche e soprattutto (ma non soltanto) su argomenti come la pandemia e le trasformazioni sociali e culturali, che riguardano la collettività in sé, la quale chi svolge quelle funzioni, ossia Forze armate e di Polizia, è tenuto a salvaguardare per vocazione. Peraltro, i social sono strumenti che tendono a spersonalizzare l’espressione, alimentando l’idea che non esistono obblighi, doveri, regole di prudenza; e ciò è particolarmente problematico quando non solo esistano particolari doveri, ma questi siano pregnanti e molto pervasivi in relazione alle funzioni svolte. La questione, a prescindere dal mezzo utilizzato, è quella di comprendere se, e in che misura, gli appartenenti alle Forze armate e alla Polizia di Stato possano subire limitazioni alla libertà di manifestare il proprio pensiero, quali siano i beni tutelati a scapito di tale libertà e fino a dove si possa spingere la loro tutela. In particolare, l’attenzione è posta sulla rilevanza disciplinare delle condotte, risultato dell’applicazione delle peculiari regole comportamentali imposte dai rispettivi ordinamenti, che conformano un servizio altrettanto peculiare e che coinvolge importanti interessi costituzionali [1].


2. Forze in armi e assetto costituzionale. I limiti impliciti alla libertà di manifestazione del pensiero

La generalità dei cittadini è destinataria di obblighi di rilievo costituzionale particolarmente pregnanti, tra cui spiccano i doveri di fedeltà alla Repubblica, di osservanza della Costituzione e delle leggi, nonché di adempimento con disciplina e onore delle funzioni pubbliche che eventualmente siano loro affidate, ai sensi dell’art. 54 della Costituzione. Nel corso del tempo, la dottrina ha proposto varie interpretazioni del dovere di fedeltà come dovere costituzionale gravante su tutti i cittadini [2]. Ciò su cui sembra sussistere una certa concordia è la constatazione che i doveri di fedeltà e di osservanza delle leggi assumerebbero una veste molto più significativa e intensa quando rapportati ai pubblici funzionari e ai correlativi doveri di adempimento delle funzioni pubbliche con disciplina e onore [3]: ciò in ragione della «potenziale pericolosità rappresentata da un comportamento infedele da parte dei cittadini che assumono pubbliche responsabilità sia nel campo politico sia all’in­terno dello Stato-apparato, in riferimento ai possibili attentati portati allo Stato democratico ed alla sua Costituzione» [4]. Il transito dal primo al c. 2 dell’art. 54 rafforzerebbe l’orizzonte della fedeltà, identificando «il modus che comporta l’incarico di pubbliche funzioni» [5] o, secondo altra accezione, le qualità che dovrebbero caratterizzare tale incarico, il cui carattere etico è spesso sottolineato [6]. Pur non essendo certo questa la sede per analizzare in dettaglio i concetti di disciplina e onore, fondamento del potere disciplinare [7], si può segnalare che l’uno e l’altro concetto rimandano a obblighi di etica pubblica, di diligenza, perizia, prudenza, autocontrollo, decoro inteso come «buona condotta civile e morale in qualunque manifestazione, anche estranea al servizio» [8]. Con riguardo a quelle particolari categorie di pubblici funzionari, che esercitano funzioni “ancestrali” correlate all’esistenza dello Stato, ossia la difesa e la sicurezza pubblica, i termini «disciplina» e «onore» assumono particolare valenza. Si tratta di parole vicine alla tradizione dell’ordinamento militare, che rimandano a obblighi quasi etici o comunque pre-giuridici, [continua ..]


3. Potere disciplinare, disciplina militare ed esternazioni fuori servizio. Dal diritto di critica social al caso Vannacci

I militari sono destinatari di un complesso estremamente pervasivo di doveri attinenti alla disciplina militare e sui limiti all’esercizio dei diritti, che devono osservare in modo pedissequo quando in servizio o in uniforme. Anche fuori servizio, sono tenuti a osservare le disposizioni del codice e del regolamento che concernono i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado, alla tutela del segreto e al dovuto riserbo sulle questioni militari [42]. In primo luogo, viene in rilievo l’art. 1472, c.o.m., rubricato “Libertà di manifestazione del pensiero”, che attua l’art. 1465 e stabilisce che i militari possono manifestare pubblicamente il proprio pensiero, anche attraverso la pubblicazione di scritti o la realizzazione di conferenze, a meno che non si tratti di temi o argomenti «a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione». Restano fermi il divieto di propaganda politica e la possibilità di informarsi e trattenere giornali, libri, pubblicazioni, nel luogo di servizio. In tal senso si bilancia la libertà di espressione con le esigenze proprie dell’ordinamento militare: il militare ha tutto il diritto di esprimersi come ritiene e con i mezzi che ritiene (pubblicare scritti, tenere conferenze, interviste, pubblicare il proprio pensiero sui social), purché, quando vengano in rilievo argomenti riservati o di servizio, si attivi con «congruo anticipo» un meccanismo di autorizzazione preventiva [43]. Tale dispositivo tutela direttamente il dovere di segretezza [44], ma anche il più ampio dovere di riserbo gravante sui militari [45], che implica «un freno alla libera divulgazione attraverso la stampa o mezzi similari di fatti non necessariamente classificati “riservati”, ma comunque attinenti ad interessi militari o collegati al servizio di istituto, che, per fini di tutela del buon nome e della credibilità delle Forze Armate, occorre siano trattati con doverosa cautela e col necessario riserbo» [46]. Tra i doveri che gravano sui militari anche fuori dal servizio, la cui violazione, ai sensi dell’art. 1352, c.o.m., costituisce illecito disciplinare, rilevano anche e soprattutto il dovere di operare con fedeltà alle istituzioni, con disciplina e onore, con senso di responsabilità, per l’assolvimento dei compiti [continua ..]


4. Doveri istituzionali degli appartenenti alla Polizia di Stato ed espressioni del pensiero fuori servizio: potere disciplinare e tutela dell’immagine

Sugli appartenenti alla Polizia di Stato grava un obbligo di mantenersi fuori dalle competizioni politiche e comunque di non assumere «comportamenti che compromettano l’assoluta imparzialità delle loro funzioni» [84], mentre è assente una disposizione specifica sulla libertà di manifestazione del pensiero. Tale mancanza è compendiata dalla sussistenza di un complesso di doveri [85], tra cui quello di segretezza [86] e di obbedienza gerarchica [87], alcuni dei quali ricalcano parzialmente quelli illustrati per i militari: il personale della Polizia di Stato «deve avere in servizio un comportamento improntato alla massima correttezza, imparzialità e cortesia», deve comportarsi in modo irreprensibile, operando con senso di responsabilità, cosciente delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni «in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività», deve «astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell’Amministrazione». Anche fuori servizio, il personale deve «mantenere condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni» [88] e osservare i doveri inerenti alla funzione [89]. Sulla base del d.p.r. 25 ottobre 1981, n. 737, dalla violazione del complesso dei doveri possono derivare importanti conseguenze disciplinari, seppure differenziate e proporzionalmente graduate dallo stesso d.p.r. in funzione della gravità dell’infra­zione e delle conseguenze prodotte sull’Amministrazione [90]. Nonostante non si possa ritenere che i doveri assumano lo stesso carattere etico e tradizionale dei doveri per gli appartenenti alle Forze armate [91], non applicandosi in nessuna parte la disciplina militare, la giurisprudenza li conforma in ogni caso come doveri di comportamento estremamente puntuali. Invero, si afferma unanimemente che il personale dell’Amministrazione di Pubblica Sicurezza è destinatario, al pari dei militari, di una «disciplina comportamentale più rigorosa», che impone di assumere, anche fuori dal servizio, un comportamento «equilibrato, imparziale e improntato a senso di responsabilità» [92]. In questa prospettiva, la libertà di manifestazione del pensiero può subire limitazioni sulla base degli stessi valori [continua ..]


NOTE