Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Osservazioni in tema di mobilità volontaria del pubblico dipendente (di Luisa Rocchi, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Roma Tre.)


Il saggio analizza la disciplina della mobilità volontaria dei pubblici dipendenti di cui all’art. 30 d.lgs. n. 165/2001 alla luce delle recenti modifiche che hanno eliso, quantomeno nell’ipotesi generale, il consenso dell’amministrazione di appartenenza. Sebbene sia difficile qualificare l’operazione come cessione del contratto, nel testo normativo sussistono degli elementi che inducono a ritenere immutate le conseguenze applicative e, dunque, il principio di continuità del rapporto. Permangono, tuttavia, alcune criticità, sia nell’ambito della corretta individuazione delle eccezioni, ma anche in ordine ad alcune questioni applicative ancora oggi controverse, quali, in particolare, il rapporto tra la mobilità e gli altri strumenti di reclutamento.

Remarks on voluntary mobility in public employment

The essay analyzes the regulation of voluntary mobility of civil servants under art. 30 d.lgs. n. 165/2001 in the light of recent changes that have eliminated, at least in the general hypothesis, the consent of the administration. Although it is difficult to classify the transaction as a transfer of the contract, there are elements in the legislative text that lead to the conclusion that the consequences of the application and, therefore, the principle of continuity of the relationship are unchanged. However, some critical issues remain, both in the context of the correct identification of exceptions but also in relation to some application issues still controversial today such as the relationship between mobility and other recruitment tools.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La qualificazione della mobilità volontaria come cessione del contratto: il consenso trilaterale - 3. La riforma del decreto reclutamento e l’irrilevanza del consenso del­l’amministrazione di appartenenza: la regola generale - 3.1. Mobilità volontaria tra novazione e successione nel rapporto - 3.2. L’irrilevanza sul piano degli effetti: la disciplina applicabile - 3.3. L’inquadramento professionale e la mobilità volontaria extracompartimentale - 3.4. Il trattamento economico e normativo spettante - 3.5. La rilevanza dell’anzianità di servizio nel caso di passaggio diretto di personale - 4. Le eccezioni al consenso: le posizioni motivatamente infungibili e il personale assunto da meno di tre anni - 4.1. La carenza di organico - 5. Il consenso della p.a. di destinazione tra discrezionalità e valutazione della professionalità - 5.1. Le tutele esperibili dal dipendente illegittimamente escluso - 6. La prevalenza della mobilità sulle tecniche di reclutamento del personale - 7. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Tra gli istituti più tormentati nell’ambito della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione si annovera la “mobilità” del pubblico dipendente, nozione che ricomprende una vasta gamma di ipotesi di “passaggio” del lavoratore sia all’interno della stessa amministrazione che verso un’altra amministrazione [1]. Al riguardo, la mobilità individuale c.d. volontaria, ovvero concordata [2], la cui disciplina è contenuta nell’art. 30, c. 1, d.lgs. n. 165/2001, ha subìto un costante rimaneggiamento ad opera del legislatore essendo oggetto di plurime modifiche volte a liberalizzare o a restringere le maglie dell’istituto. La necessità di distribuire in maniera ottimale le risorse del personale [3] e l’esigenza di colmare le vacanze di organico [4], sono le ragioni alla base del suo continuo rimaneggiamento, dando luogo ad una stratificazione normativa che non ne agevola la disamina e solleva alcune incertezze applicative. Dopo una apparente quiete, infatti, il legislatore ha nuovamente attenzionato l’art. 30 anche su impulso di quanto previsto dal PNRR [5] che ha posto al centro il sistema di reclutamento del personale [6]. Ne è seguita l’emanazione dapprima del­l’art. 3, c. 7, d.l. n. 80/2021, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2021, n. 113 e, successivamente, dell’art. 6, c. 1, d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla l. 29 giugno 2022, n. 79, che hanno riscritto in larga parte l’art. 30. Il restyling più rilevante ha avuto come scopo quello di ampliare (rectius liberalizzare), in via generale e salvo le eccezioni di cui si dirà, le ipotesi in cui è possibile ricorrere al passaggio diretto di personale in assenza del preventivo consenso dell’amministrazione di appartenenza. Si tratta però di comprendere se ed in che termini la novella abbia avuto conseguenze sul piano qualificatorio – considerato pacificamente come cessione del contratto – e se possa dirsi effettivamente realizzata l’esigenza di semplificazione e flessibilità che da sempre giustificano i continui e convulsi interventi legislativi [7].


2. La qualificazione della mobilità volontaria come cessione del contratto: il consenso trilaterale

L’interrogativo di fondo è sempre stato se il passaggio diretto costituisce una nuova assunzione presso l’amministrazione di destinazione oppure una modificazione meramente soggettiva del rapporto. Non si tratta di un quesito soltanto teorico, ma l’adesione all’una o all’altra tesi ha riflessi dirompenti sul piano applicativo, atteso che soltanto nel secondo caso il lavoratore conserva i diritti sino a quel momento maturati (ad esempio l’anzianità di servizio, su cui infra 3.5) senza dar vita ad un nuovo rapporto di lavoro. In caso contrario, infatti, è agevole presumere che nessun dipendente sarebbe interessato ad effettuare la domanda di passaggio. Ed infatti, la tesi prevalente, nonostante una iniziale incertezza [8], si è orientata proprio in favore della continuità del rapporto di lavoro. Il necessario consenso trilaterale richiesto dall’art. 30 d.lgs. n. 165/2001 già nella primigenia formulazione, quello dell’amministrazione di destinazione, quello del lavoratore e quello dell’amministrazione di appartenenza, ha condotto verso la qualificazione della vicenda come cessione del contratto ex art. 1406 c.c. [9]. Interpretazione, questa, presto consacrata tramite l’introduzione di un espresso riferimento in tal senso nell’art. 30, c. 1, inserito ad opera dell’art. 16, lett. a), l. n. 246/2005 [10] non sollevando così più alcun dubbio interpretativo. La soluzione fatta propria dal legislatore non ha subìto alterazioni neanche quando al “previo consenso dell’amministrazione di appartenenza” è stato preferito il richiamo al parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici (tanto della p.a. cedente che di quella di destinazione) [11], né successivamente con l’estromissione dal testo normativo anche del riferimento alla “cessione del contratto” [12]. Ed infatti, accanto a tale elisione ad opera della l. n. 114/2014 [13], il legislatore ha nuovamente reintrodotto il consenso dell’amministrazione di appartenenza, ponendosi in linea con la contrattazione collettiva [14] che per scongiurare ogni incertezza ha ribadito la natura non novativa del passaggio.


3. La riforma del decreto reclutamento e l’irrilevanza del consenso del­l’amministrazione di appartenenza: la regola generale

La struttura trilaterale dell’operazione negoziale è stata scalfita soltanto dalla novella legislativa di cui all’art. 3, c. 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2021, n. 113 [15] con la quale il legislatore ha nuovamente espunto il riferimento al consenso dell’amministrazione di appartenenza che non è più richiesto ai fini del passaggio diretto di personale. In via generale, pertanto, il lavoratore potrà presentare la domanda di trasferimento senza il preventivo “nulla osta” da parte dell’amministrazione di appartenenza. Il consenso rileva, a seguito della nuova formulazione dell’art. 30, c. 2, in tre specifiche ipotesi: nel caso di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dal­l’am­ministrazione cedente, di personale assunto da meno di tre anni oppure nel caso di carenza dell’organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente. Sfuggono alla disciplina sopra descritta anche i passaggi del personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale e degli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100 per i quali il consenso è, invece, sempre richiesto. La mancanza del previo assenso dell’amministrazione di appartenenza snellisce il procedimento con l’intendo di superare eventuali profili di criticità che erano stati sollevati in ordine al momento entro il quale dovesse essere concesso il nulla osta [16] e, soprattutto, in ordine all’eventuale diniego o ritardo del suo rilascio, con effetti deflattivi del contenzioso [17], ma solleva alcune perplessità qualificatorie.


3.1. Mobilità volontaria tra novazione e successione nel rapporto

Sebbene la vasta gamma di eccezioni ridimensioni fortemente la portata innovativa della riforma, l’eliminazione del consenso della p.a. di appartenenza induce a non poter più aderire alla teoria della cessione del contratto ex art. 1406 c.c. Onde scongiurare il ritorno alla tesi della novazione – che comporterebbe la definitiva impraticabilità dell’istituto [18] posto che il passaggio non sarebbe “conveniente” per il dipendente – è bene ricordare che l’ordinamento già conosce ipotesi di “spostamento” del lavoratore che non richiedono il consenso della p.a. cedente, a tutt’oggi presenti nel dettato normativo. Da un lato, con la c.d. mobilità sperimentale (art. 30, c. 1, ultimo periodo) si consente il trasferimento del lavoratore tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali ed a condizione che l’ammini­strazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all’ammi­nistrazione di appartenenza. Dall’altro, la mobilità riservata alle donne vittime di violenza di genere (art. 30, c. 1 ter), attraverso la quale è previsto il trasferimento ad altra amministrazione pubblica ubicata in un comune diverso da quello di residenza, previa una mera comunicazione all’amministrazione di appartenenza. Trattasi di ipotesi ibride [19], semplificate, che si discostano dal modello trilaterale tipico e che tuttavia trovano una loro ratio rispettivamente nell’esigenza di celerità e semplificazione del passaggio per colmare lacune di personale e riequilibrare gli organici [20] o come strumento di tutela in favore delle donne che hanno subìto violenza. Accanto a queste due ipotesi se ne pone un’altra, sebbene non completamente sovrapponibile. Si ricorderà che con la c.d. riforma Brunetta [21], il legislatore ha eliminato l’espresso riferimento al consenso dell’amministrazione di appartenenza con un mero parere favorevole da parte del dirigente [22]. Anche in questo caso non si è dubitato della qualificazione come cessione del contratto, sull’assunto che il parere del dirigente costituisse un elemento aggiuntivo richiesto per il perfezionarsi della fattispecie che in ogni caso abbisognava del consenso della p.a. cedente. E tuttavia, la formulazione [continua ..]


3.2. L’irrilevanza sul piano degli effetti: la disciplina applicabile

Ricondurre la mobilità volontaria nell’egida della cessione del contratto ha avuto ed ha un indubbio vantaggio sul piano applicativo, posto che il rapporto di lavoro prosegue senza soluzione di continuità [27], conclusione questa difficilmente praticabile nel caso in cui non si aderisse a tale tesi. Tuttavia, l’eventuale difformità di trattamento che ne dovrebbe conseguire suscita alcune perplessità sul piano della ragionevolezza, poiché si avrebbero effetti diversi tra gli stessi lavoratori a seconda della “tipologia” di mobilità (con consenso o senza consenso della p.a. di appartenenza) ed anche perché nessuno, come già rappresentato, sarebbe interessato ad ottenere il passaggio in assenza del mantenimento dei diritti. Sennonché, sussistono nel dettato normativo degli appigli che inducono l’inter­prete a ritenere comune la disciplina applicabile. In primo luogo, tanto nell’ipotesi generale che in quelle speciali prima richiamate, ivi compreso il nuovo catalogo delle eccezioni (infra parr. 4 e 4.1.), resta confermato che al dipendente “trasferito” per mobilità, ai sensi dell’art. 30, c. 2 quinquies, troverà applicazione il trattamento giuridico ed economico dell’ammini­strazione di destinazione [28]. In tutte le ipotesi di mobilità, pertanto, – sia quelle per le quali non sussiste alcun dubbio sulla qualificazione del passaggio, sia per le altre ipotesi – il legislatore contempla la medesima disciplina. Peraltro, la scelta di utilizzare il termine “trasferito”, presente numerose volte nel testo dell’art. 30 così come nelle altre ipotesi di mobilità, sebbene in modo atecnico [29], ben si attaglia alla fattispecie in esame, posto che al mutamento sul piano soggettivo si accompagna anche un mutamento del luogo di svolgimento della prestazione [30]. La commistione tra i due profili – soggettivo e spaziale – non inficia, come noto, la continuità del rapporto, che resta fermo anche in caso di trasferimento. In altri termini, l’utilizzo delle locuzioni “trasferimento” e “passaggio diretto” [31] inducono a sostenere la tesi della prosecuzione dei rapporti. Tra l’altro, nell’articolato normativo del d.lgs. n. 165/2001 esistono altri richiami al principio del [continua ..]


3.3. L’inquadramento professionale e la mobilità volontaria extracompartimentale

A seguito del processo di mobilità, il lavoratore viene inquadrato presso l’amministrazione di destinazione nella “qualifica corrispondente”. La predetta locuzione, introdotta dal d.l. n. 90/2014, convertito in l. n. 114/2014, sostituisce il termine «stessa qualifica», che creava ambiguità perché riferita soltanto alla mobilità nel medesimo comparto e veniva considerata una limitazione rispetto ai trasferimenti extracompartimentali, per i quali sarebbe stato difficile immaginare una identità dei profili. La nuova scelta terminologica esprime un concetto più ampio e maggiormente adatto per favorire i processi tra i lavoratori appartenenti a comparti diversi che da sempre hanno rappresentato l’ipotesi più complessa ai fini della corretta omologazione dei lavoratori [33], ostacolandone di fatto il passaggio anche per i timori di subire un peggioramento economico. Il maggior grado di flessibilità riconosciuto dalla disposizione alla p.a. di destinazione ben si coordina con quanto previsto dall’art. 52 d.lgs. n. 165/2001 in tema di mansioni esigibili [34]. Secondo questa disposizione, infatti, la p.a. può adibire a mansioni equivalenti il lavoratore, ovvero a quelle che rientrano nella stessa area di inquadramento. Così, anche l’amministrazione di destinazione potrà individuare in modo più elastico il profilo corrispondente. Inoltre, per favorire i processi tra amministrazioni diverse ed in attuazione dell’art. 29 bis d.lgs. n. 165/2001, introdotto dall’art. 48 d.lgs. n. 150/2009, è stato emanato il d.p.c.m. del 26 giugno 2015 [35], recentemente sostituito dal d.p.c.m. 30 novembre 2023 denominato “Disciplina dei processi di mobilità fra pubbliche amministrazioni del personale non dirigenziale” ed entrato in vigore il 9 febbraio 2024 [36] . Con il predetto decreto, che si pone in linea con la nuova la fisionomia della contrattazione collettiva, basata su una suddivisione in soli quattro comparti, e che resterà efficace fino all’applicazione da parte delle amministrazioni pubbliche della nuova disciplina prevista per le progressioni relativa al triennio 2019-2021, vengono individuati i livelli economici di inquadramento ribadendo il principio del confronto tra il trattamento in godimento all’atto del [continua ..]


3.4. Il trattamento economico e normativo spettante

Più nel dettaglio, il fulcro della disciplina applicabile al lavoratore transitato presso l’amministrazione di destinazione è contenuto nell’art. 30, c. 2-quinquies, che non ha subito rimaneggiamenti. La disposizione precisa che al lavoratore troverà applicazione il trattamento economico normativo dell’amministrazione di destinazione. Il principio è stato introdotto dall’art. 16, c. 1, lett. c), l. n. 246/2005 che pone fine alla prassi del c.d. divieto di reformatio in pejus [39] secondo il quale, a seguito del passaggio il lavoratore non poteva subire una diminuzione del trattamento economico, cosicché nell’ipotesi in cui ciò si verificasse avrebbe avuto diritto all’erogazione di un assegno ad personam, volto a compensare il differente trattamento retributivo. Senonché, l’ampia formula della disposizione, “Salva diversa previsione” contenuta nel c. 2-quinquies, lasciava e lascia ancora aperta la possibilità di prevedere trattamenti differenziali, in deroga alla disciplina generale [40] con un ampio ventaglio di fonti che possono intervenire in materia [41]. Tra queste lo stesso d.p.c.m. 26 giugno 2015, ora sostituito dal d.p.c.m. 30 novembre 2023 sopra richiamato, che nel disciplinare il trattamento economico dei dipendenti che transitano in amministrazioni diverse da quella di appartenenza riconosce nei soli casi di mobilità d’ufficio il divieto di reformatio in pejus, rimanendo invece salva per le ipotesi di mobilità volontaria. La ratio sottesa al provvedimento in esame è quella di evitare che il passaggio forzoso – e non anche quello volontario – possa comportare un trattamento deteriore tramite la corresponsione di un assegno assorbibile, con eccezione dei compensi fissi e continuativi che ne restano invece estranei a tale regola [42].


3.5. La rilevanza dell’anzianità di servizio nel caso di passaggio diretto di personale

Sempre in relazione al trattamento applicabile ai lavoratori che passano alle dipendenze della p.a. reclutante, occorre precisare che le disposizioni normative che garantiscono il passaggio non implicano la parificazione a tutti gli effetti con i dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione, quantomeno sul versante dell’anzianità [43]. Sebbene la mobilità comporti il mantenimento di tutti i diritti maturati dal lavoratore, la giurisprudenza [44] ha precisato che l’anzianità non costituisce un diritto di cui i lavoratori possono avvalersi nei confronti del cessionario sempre ed in ogni caso, posto che deve essere salvaguardata in modo assoluto soltanto qualora alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporti un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto. Nel caso in cui, invece, l’anzianità pregressa sia invocata per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile alla p.a. destinataria, questa non potrà essere fatta valere perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti (non delle aspettative) già entrate nel patrimonio del lavoratore alla data del passaggio. Il nuovo datore, pertanto, ben potrà a tali fini valorizzare esclusivamente l’espe­rienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze differenziandolo da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto [45]. La soluzione alla quale è prevenuta la giurisprudenza trova conferma all’esito delle ultime riforme in tema di pubblico impiego che hanno rafforzato, su impulso anche del PNRR, la valorizzazione delle competenze e della professionalità dei pubblici dipendenti [46], tanto nella fase del reclutamento che in quella specifica della formazione. In base a quanto previsto dall’art. 7, c. 4, d.lgs. n. 165/2001 e, soprattutto dal­l’art. 6 ter, come novellato dal d.l. n. 36/2022, infatti, emerge l’esigenza di migliorare l’efficienza e al contempo l’efficacia della p.a. [47], anche tramite la disciplina del passaggio diretto di personale.


4. Le eccezioni al consenso: le posizioni motivatamente infungibili e il personale assunto da meno di tre anni

Accanto all’ipotesi generale che non richiede nel caso di passaggio il consenso dell’amministrazione di appartenenza, si pone l’ampio apparato di deroghe introdotte dalla riforma. Come anticipato, la normativa impone il nulla osta in tre particolari ipotesi col fine di “evitare un eccessivo indebolimento dell’amministrazione di appartenenza” [48], che rappresentano, a ben vedere, i casi più diffusi di mobilità. La prima di queste si ha qualora sussistano “posizioni motivatamente infungibili”. La locuzione – che non trova una espressa definizione e né compare in altre parti del TU del 2001 – resta ambigua, ma non è comunque nuova tanto che viene spesso richiamata dalla giurisprudenza nell’ambito dei licenziamenti collettivi per evidenziare la particolare professionalità richiesta dai lavoratori [49]. La ratio della norma può scorgersi nell’esigenza di evitare che l’ammini­stra­zione di appartenenza rimanga sprovvista di personale ritenuto necessario per il buon andamento della pubblica amministrazione, ma solleva alcune criticità che derivano dall’individuazione in concreto del suo contenuto. A tal fine viene in aiuto l’art. 6 d.lgs. n. 165/2001 [50] che obbliga la p.a. a definire il piano triennale dei fabbisogni anche in considerazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale. La nuova formulazione dell’art. 6, supera il sistema statico fondato sulle “dotazioni organiche”, in favore di un approccio dinamico tramite l’adozione del piano triennale dei fabbisogni, che ben si coordina con la nuova eccezione. In effetti, sotto il profilo temporale, è lecito ritenere che la p.a. di appartenenza debba indicare a monte le posizioni ritenute infungibili, senza escludere che l’amministrazione conservi un certo grado di discrezionalità [51] nella variazione del fabbisogno. Per tale motivo, in aderenza ad una interpretazione teleologica, è preferibile leggere la locuzione “posizioni” non in senso statico, ma con riguardo alle specifiche competenze e professionalità richieste per ricoprire la posizione, quali ad esempio il possesso di un particolare know how o di un titolo abilitativo [52]. Al contempo, pur nell’ambiguità della formulazione, per negare il [continua ..]


4.1. La carenza di organico

Sul versante “quantitativo”, si può annoverare primariamente l’ipotesi in cui la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella “qualifica corrispondente” a quella del richiedente. Anche in questo terzo caso il legislatore tiene conto delle esigenze della pubblica amministrazione e dell’eventuale pregiudizio che il passaggio potrebbe arrecare all’agere amministrativo. Non è sufficiente che la p.a. di appartenenza sia sotto organico, ma occorre che la carenza sia riferita espressamente alla qualifica che ricopre il lavoratore interessato al passaggio, con la conseguenza che al verificarsi della carenza nella percentuale indicata non si potrà dar luogo al trasferimento. Peraltro, per gli enti locali, l’art. 30, c. 1.1., specifica ulteriormente che se il numero dei dipendenti è compreso tra 101 e 250, la percentuale di carenza di organico, stabilita in via generale al 20 per cento, si riduce sensibilmente al 5 per cento; per gli enti locali con un numero di dipendenti non superiore a 500, la percentuale è fissata al 10 per cento. In tal modo il legislatore attua un sistema diversificato e calibrato a seconda delle dimensioni dell’ente locale, rendendo più difficile accedere alla mobilità qualora l’ente sia di piccole dimensioni. Da ultimo, anche il personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100 [55] sono sottoposti alla regola del consenso. Onde evitare un sottodimensionamento, in uno dei comparti nei quali il ricorso alla mobilità è più diffuso, il legislatore all’art. 30, c. 1, quarto periodo, impone sempre, e ragionevolmente, il preventivo assenso dell’ente di appartenenza per il perfezionamento della fattispecie.


5. Il consenso della p.a. di destinazione tra discrezionalità e valutazione della professionalità

Dall’angolo visuale della pubblica amministrazione che abbisogna di personale si potrebbe essere indotti a ritenere che il consenso sia manifestato già con l’in­dizione della procedura e che, pertanto, nell’ipotesi in un cui l’assenso non è più richiesto il lavoratore maturi un diritto al passaggio. Senonché, fermo restando che il presupposto dal quale la p.a. deve prendere le mosse è la vacanza di posti in organico, l’amministrazione destinataria perfeziona il consenso soltanto a valle, al momento della verifica del possesso dei requisiti da parte dei candidati [56]. Il passaggio del dipendente è infatti condizionato alla valutazione positiva da parte dell’amministrazione di destinazione. Il bando di mobilità – che deve essere pubblicato nel sito nonché nel portale del reclutamento ai sensi dell’art. 30, c. 1-quater, garantendone la trasparenza [57] – costituisce una offerta al pubblico [58], ma la fattispecie si perfeziona soltanto dopo la verifica del possesso dei requisiti da parte dei candidati. Ciò lo si evince dalla formulazione dell’art. 30, c. 1, che oltre ad imporre la pubblicazione di un bando “in ogni caso” di avvio della procedura di mobilità [59], specifica che dovranno essere indicati i requisiti e le competenze professionali richieste dai candidati i quali dovranno inserire la loro domanda tramite registrazione al portale del reclutamento inserendo il proprio curriculum. Tale procedimento rafforza il collegamento sussistente tra mobilità e professionalità [60] e conferma che il passaggio è subordinato al processo valutativo della p.a. di destinazione e ciò anche nel caso in cui partecipi alla selezione soltanto un candidato [61]. Il dipendente che aspira al passaggio, pertanto, sarò oggetto di un procedimento di valutazione che potrà non limitarsi al possesso di determinati titoli, ma la p.a. potrà decidere di valutare l’attitudine professionale del candidato residuando in capo alla pubblica amministrazione di destinazione un margine di discrezionalità nella verifica del possesso dei requisiti richiesti. Sarà, pertanto, ritenuto legittimo sottoporre i candidati anche ad un colloquio orale – oltre alla valutazione dei titoli e dell’anzianità di servizio [continua ..]


5.1. Le tutele esperibili dal dipendente illegittimamente escluso

Più complicata appare l’indagine circa le eventuali tutele esperibili nel caso in cui il lavoratore contesti la graduatoria e, dunque, il processo valutativo della p.a. E ciò, come rappresentato sopra, può avvenire non solo nel caso in cui vi sia un solo partecipante alla procedura, ma anche nell’ipotesi in cui siano state presentate più domande rispetto ai posti disponibili. In primo luogo, occorre sgomberare il campo da possibili incertezze: il candidato pretermesso non potrà sempre ed in ogni caso ottenere il passaggio presso la pubblica amministrazione reclutante. Sebbene il processo valutativo sia insindacabile nel merito, la giurisprudenza [65] ha più volte rimarcato che le tutele che il candidato può ottenere dipendono dal margine di discrezionalità adottato dalla p.a. reclutante. In tema di mobilità, come noto, la giurisdizione spetta al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro posto che la p.a. agisce con le prerogative e i poteri del datore di lavoro privato [66], salvo nel caso in cui si contesti la legittimità degli atti amministrativi autoritativi con i quali l’amministrazione ha operato la scelta circa le modalità di copertura dei posti vacanti che compete al giudice amministrativo (infra par. 6). E la prospettiva non muta neanche a seguito della novella normativa posto che, come tentato di dimostrare, si verte sempre in una ipotesi di successione nel rapporto. Ciò premesso, è agevole constatare che il rischio di una valutazione erronea si annulli nel caso in cui siano stati adottati punteggi specifici per i singoli titoli, dando luogo ad una graduatoria fondata su una mera somma algebrica [67]. In questo caso, essendo l’attività valutativa della pubblica amministrazione in sostanza vincolata, il candidato potrà ottenere il passaggio presso la nuova amministrazione essendo il margine di discrezionalità azzerato [68]. Diversamente, nel caso in cui il processo valutativo si connoti anche di elementi di discrezionalità, quale ad esempio la previsione di un colloquio orale, la soluzione proposta sembra difficilmente percorribile. In questa ipotesi, il lavoratore potrà far valere la violazione dei principi di buona fede e correttezza da parte della p.a. qualora ravvisi una erronea o non motivata valutazione, ed ottenere una tutela meramente risarcitoria per [continua ..]


6. La prevalenza della mobilità sulle tecniche di reclutamento del personale

Un altro tema che risulta ancora controverso è il rapporto tra la procedura di mobilità e le altre modalità di reclutamento del personale. E si badi che la p.a. non è obbligata a procedere alla mobilità: la scelta terminologica del legislatore “possono” [72] induce a ritenere il contrario, potendo preferire trasferimenti interni oppure procedere all’adibizione a mansioni superiori nei limiti di quanto previsto dall’art. 52. Tuttavia la p.a. ha un limitato potere discrezionale nella scelta della tecnica di reclutamento da adottare per ricoprire i posti vacanti [73] poiché nonostante sussistano numerosi strumenti oltre al concorso per soddisfare il fabbisogno di personale, la mobilità rappresenta la tecnica privilegiata per sopperire alla carenza di organico [74]. L’affermazione poggia le basi, come noto, sull’art. 30, c. 2 bis, d.lgs. n. 165/2001 introdotto dall’art. 5, c. 1 quater, d.l. n. 7/2005, convertito con l. n. 43/2005, che impone alle p.a. di procedere in via prioritaria con le procedure di mobilità prima di espletare nuove assunzioni e di preferire le domande dei lavoratori in comando o fuori ruolo [75]. Al riguardo, i lavoratori assegnati in via temporanea potranno acquisire l’inquadramento presso la sede di destinazione evitando così le situazioni di incertezza e l’abuso al ricorso di tale strumento [76]. In altri termini, soltanto l’infruttuoso esperimento della procedura di mobilità consente alla p.a. di indire il concorso per una nuova assunzione. In tal modo, si garantisce non solo una ottimale gestione delle risorse pubbliche, ma anche l’acqui­sizione di personale di esperienza e, di conseguenza, il buon andamento della pubblica amministrazione. Tale principio subisce, tuttavia, alcuni temperamenti sia da parte del legislatore che, soprattutto, ad opera della giurisprudenza. Sotto il primo punto, la prevalenza della mobilità sui concorsi è venuta meno, per il periodo dal 2019 al 2021, successivamente prorogato sino al 31 dicembre 2024 [77], a seguito dell’art. 3, c. 8, l. n. 56/2019 (c.d. “Legge Concretezza”), che ha previsto la possibilità di ricorrere ai concorsi piuttosto che alla mobilità. La disposizione è stata introdotta con il fine di garantire un turn [continua ..]


7. Riflessioni conclusive

La semplificazione introdotta dal legislatore della riforma se da un lato consente di ridurre il contenzioso solleva, come visto, altre criticità derivanti dalla formulazione del vasto sistema delle eccezioni. Certamente condivisibili sono le considerazioni che tendono a restringerne la portata della novella [86], posto che l’apparto di eccezioni interviene in una vasta gamma di ipotesi e settori. Nonostante ciò sussiste una area per la quale non è previsto il consenso e che pone dubbi sulla qualificazione dell’operazione negoziale sino ad oggi ritenuta sempre quale cessione del contratto. L’elisione dal testo normativo al consenso della p.a. di appartenenza incrina la predetta qualificazione, ma come si è cercato di dimostrare, nell’art. 30 sussistono elementi che conducono comunque a ritenere salvaguardati i diritti acquisiti dai lavoratori nel passaggio. Le scelte terminologiche adottate dal legislatore (trasferimento e passaggio), unitamente alle altre ipotesi già presenti nell’ordinamento che non richiedono il nulla osta e, soprattutto, la disciplina in concreto applicabile volta a regolamentare tutte le ipotesi di mobilità, conducono l’interprete a ritenere immutate le conseguenze. Anche le eccezioni al consenso si inseriscono in modo razionale nel nuovo contesto, volte a preservare la “qualità” della pubblica amministrazione (è il caso delle posizioni infungibili) e la “quantità” del personale, come nel caso della carenza di organico. Tra queste due ipotesi ben si inserisce la specifica eccezione per il personale assunto da meno di tre anni che risponde ad entrambe le esigenze appena rappresentate. Seppure il nuovo sistema sia soltanto parzialmente più flessibile, si pone comunque in linea con l’esigenza di salvaguardare il buon andamento della p.a. affiancando alla generale ipotesi di liberalizzazione un sistema di eccezioni e cercando così di contemperare gli interessi in gioco. Resta immutato, invece, il rilievo del consenso della p.a. reclutante. Tanto prima che a seguito della novella, la p.a. è chiamata ad effettuare una valutazione sulle competenze e sulle professionalità dei candidati, confermando così che il lavoratore interessato al passaggio non matura un diritto soggettivo. E tuttavia, la valutazione, all’esito della pubblicità dei criteri di selezione e dal [continua ..]


NOTE