La nota analizza il tema dell’erogazione del diritto al trattamento di fine rapporto qualora venga accertata in giudizio la natura subordinata del rapporto di lavoro reso in favore di un ente pubblico e qualificato formalmente come di collaborazione coordinata e continuativa. In particolare, la Suprema Corte, nel ribadire la natura di retribuzione differita del TFR, evidenzia la profonda diversità di tale emolumento, maturato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ma ricollegato alle mansioni svolte, rispetto alle somme versate al lavoratore a titolo risarcitorio per il comportamento inadempiente del datore di lavoro. La Suprema Corte fornisce poi un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2120 c.c. e della normativa rilevante in materia, in applicazione del principio di non discriminazione tra dipendente pubblico e privato. Infine, il rapporto di lavoro di cui è stata accertata la natura subordinata viene ricondotto, sotto il profilo della tutela applicabile, nell’ambito della sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c., che trova piena attuazione anche nel settore del pubblico impiego.
The note analyzes the issue of the provision of the right to severance pay if the subordinate nature of the employment relationship rendered in favor of a public body and formally qualified as a coordinated and continuous collaboration is ascertained in court. In particular, the Supreme Court, in reaffirming the nature of deferred remuneration of the severance indemnity, highlights the profound diversity of this emolument, accrued at the time of termination of the employment relationship, but linked to the tasks performed, compared to the sums paid to the worker as compensation for the default behavior of the employer. The Supreme Court then provides a constitutionally oriented interpretation of art. 2120 of the civil code and the relevant legislation on the subject, in application of the principle of non-discrimination between public and private employees. Finally, the employment relationship whose subordinate nature has been established is brought back, from the point of view of the protection applicable, within the scope of art. 2126 c.c. which is also fully implemented in the public sector.
1. I fatti di causa - 2. La questione sottesa: la sottoscrizione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa in violazione di legge e le conseguenze sotto il profilo risarcitorio e retributivo - 3. Il principio di onnicomprensività della retribuzione ai fini del calcolo del TFR - 4. Conclusioni: la tutela applicabile - NOTE
Il ricorrente ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Roma gli enti pubblici ENAM [2] e l’INPS allegando che aveva lavorato in qualità di responsabile referente dello Studentato di Ostia in forza di quattro contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati senza soluzione di continuità, ma che il rapporto di lavoro si era atteggiato secondo le modalità proprie del lavoro subordinato. Svolte tali premesse, l’attore ha chiesto che fosse accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’ente convenuto, con conseguente accertamento del suo diritto all’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro degli Enti pubblici non economici e conseguente condanna dell’Ente al pagamento di € 50.319,21 a titolo di differenze retributive, indennità di preavviso, TFR, ed altresì al risarcimento del danno e alla regolarizzazione della posizione contributiva. Il Tribunale di Roma aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso tra il lavoratore e l’Ente nel periodo 6 settembre 2004-31 luglio 2008 e condannato l’amministrazione resistente a versare al lavoratore un’indennità risarcitoria omnicomprensiva, liquidata ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 183/2010, nella misura di sei mensilità della retribuzione, oltre interessi, respinte le ulteriori pretese. L’INPS aveva appellato la decisione di prime cure. Il lavoratore aveva proposto appello incidentale, con il quale aveva insistito per ottenere il pagamento delle differenze retributive, dell’indennità di preavviso e del TFR. Con sentenza n. 3506/2016, la Corte d’Appello di Roma, respinto l’appello principale, aveva accolto quello incidentale nei limiti della domanda di pagamento del TFR. L’INPS aveva proposto ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo: in particolare, l’Ente aveva dedotto come la Corte territoriale avesse errato nel riconoscere al lavoratore il TFR non considerando che il relativo importo spetta in caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, fatto di cui l’INPS deduceva l’insussistenza. Aveva contestato, inoltre, l’applicazione dell’art. 2120 c.c. [3] e la poca chiarezza delle modalità di quantificazione di detto TFR. Il lavoratore aveva resistito con controricorso.
Il divieto di conversione del rapporto di lavoro a termine ovvero flessibile, nelle forme consentite dall’art. 36, c. 1 e 2, d.lgs. n. 165/2001, in un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato è sancito dall’art. 36, c. 5, del d.lgs. n. 165/2001 [4]. Tale divieto trova il suo fondamento non soltanto nell’osservanza delle regole che disciplinano l’assunzione mediante concorso pubblico o le modalità di reclutamento previste dall’art. 35 d.lgs. n. 165/2001, ma anche, più in generale, nel principio costituzionale del buon andamento della P.A. [5]. Sulla portata di tale principio è intervenuta la Corte costituzionale statuendo che il reclutamento mediante la selezione concorsuale costituisce la forma generale ed ordinaria per le amministrazioni pubbliche, essendo mezzo indispensabile ad assicurare efficienza, buon andamento ed imparzialità. Dunque, la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere circoscritta in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle [6]. In particolare, con le sentenze n. 110/2017 e n. 73/2013 il giudice delle leggi ha chiarito che è in contrasto con l’art. 97 Cost. l’utilizzazione di graduatorie che non siano state formate all’esito di procedure rispondenti al principio del pubblico concorso non solo quando il fine è quello di assumere personale a tempo indeterminato, ma anche quando l’obiettivo è quello di instaurare (o prorogare) contratti a tempo determinato. Allo stesso modo, anche quando l’amministrazione agisce con i poteri datoriali di tipo privatistico è applicabile il canone del buon andamento e della imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., c. 2. In ogni caso, il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati [7]: i principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della Pubblica amministrazione e l’esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato [8] . Non sarebbe quindi rispettoso dei suddetti principi [continua ..]
Il trattamento di fine rapporto [18] costituisce una forma di retribuzione differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro [19], come discende dalla previsione dell’art. 2120 c.c. [20] che, al c. 2, disciplina il TFR secondo il principio di onnicomprensività della retribuzione [21], nel senso della computabilità, in tale emolumento, di ogni compenso di natura retributiva della prestazione di lavoro, non sporadico né occasionale o di rimborso spese [22] e che, essendo rigorosamente collegato allo svolgimento del rapporto di lavoro, trovi la sua fonte “nella protrazione dell’attività lavorativa” [23]. La norma citata fa salva la “diversa previsione dei contratti collettivi”, così evidenziando come il principio dell’onnicomprensività della retribuzione sia derogabile dal CCNL, purché in maniera chiara e univoca [24]. La giurisprudenza di legittimità, in un successivo arresto, ha precisato che il concetto di retribuzione recepito dagli artt. 2118, c. 2, c.c. (ai fini del calcolo dell’indennità di preavviso in caso di licenziamento) e 2120 c.c. (ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto) è ispirato al criterio dell’onnicomprensività: vanno inclusi, in tale calcolo, tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati alla effettiva prestazione lavorativa; diversamente vanno escluse, da tale calcolo, solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce “una mera occasione contingente per la relativa fruizione” [25]. La sentenza in esame, riprendendo i principi già espressi dalla Suprema Corte, si è soffermata sulla individuazione degli emolumenti percepiti dal lavoratore che devono essere inclusi nella base di calcolo del TFR. Dunque, è stato chiarito che, affinché un compenso sia incluso nella base di calcolo della indennità di anzianità o del trattamento di fine rapporto, non è necessario il carattere di definitività del compenso stesso, ma è sufficiente che il dipendente ne abbia goduto in modo normale nel corso ed a causa del rapporto di lavoro: in base a tale principio non è rilevante l’elemento temporale di [continua ..]
Dunque, la stipulazione di un contratto di co.co.co. con un’amministrazione pubblica, al di fuori dei casi previsti tassativamente dalla legge, non può mai comportare la conversione del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato. Qualora venga accertato, nell’ambito del rapporto di pubblico impiego privatizzato, che la prestazione lavorativa resa in favore di un ente pubblico non economico, in forza di un contratto formalmente qualificato di collaborazione autonoma ex art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, ha assunto i caratteri della subordinazione, essendone emersi gli indici rivelatori, quali la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione datoriale e l’assenza dei presupposti di legittimità richiesti dallo stesso art. 7, il rapporto di lavoro rientra nella sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c.. Quest’ultimo, infatti, trova piena attuazione anche nel settore del pubblico impiego quale strumento essenziale di protezione delle aspettative di chi abbia reso una prestazione di fatto in assenza di un contratto valido. Il lavoratore ha quindi diritto, in termini meramente risarcitori [27], al trattamento retributivo per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione, oltre all’assolvimento dell’obbligo del versamento della contribuzione previdenziale e assistenziale. Tale disciplina non viola – come affermato dalla sentenza n. 89/2003 della Corte costituzionale – alcun precetto costituzionale in quanto il principio dell’accesso mediante concorso rende palesemente “non omogeneo” il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privati e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare, alla violazione delle norma imperative, conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali (in luogo della conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati). Neppure si pone in contrasto con il canone di ragionevolezza, “avendo la stessa norma costituzionale individuato nel concorso, quale strumento di selezione del personale, lo strumento più idoneo a garantire, in linea di principio, l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione” [28]. Con l’art. 2126 c.c. il legislatore ha, infatti, voluto affermare che la [continua ..]