L’imprevista emergenza epidemiologica correlata alla diffusione del COVID 19 ha posto sotto gli occhi di tutti l’essenzialità di alcuni lavori e anche di alcuni modi di lavorare della cui positiva necessità nessuno, forse, si era accorto. I lavori attraverso le piattaforme hanno continuato ad essere svolti, colmando il vuoto obbligato lasciato dal lockdown eteroimposto. Alcuni lavori (e modalità di lavoro) sono diventati essenziali durante la pandemia, rinnovando alcuni interrogativi. È possibile una coscienza di classe – necessaria per esprimere compiutamente tutte le libertà sindacali racchiuse nella nostra Carta Costituzionale – che passa dal web e si traduce in azioni e pressioni che abbisognano di peculiari modelli regolativi?
The unexpected epidemiological emergency related to the spread of COVID 19 highlighted the essentiality of some work types and also some ways of doing them whose positive need nobody maybe had noticed before.
Working across the platforms continued to be carried out, meeting the need of the mandatory prohibition heteroimposed by the lockdown. Some jobs (and ways of working) became essential during the pandemic, renewing some questions. Is it possible to have a class consciousness – necessary to fully express all the trade union freedoms included in our Constitutional Charter – that passes from the web and results in actions and pressures that need peculiar regulatory models?
1. L’emergenza Covid19 e gli scenari del non lavoro - 2. L’eleganza del web - 3. Il non lavoro ha cambiato il lavoro: a chi spetta “scioperare” e come? - 4. Il bisogno di protezione nel lavoro digitale ai tempi del covid19 e oltre - 5. Aspettando il sindacalismo nel web - NOTE
La pandemia dell’anno 2020 sarà a lungo ricordata dai giuslavoristi come l’evento che ha innescato il processo di autentica accettazione di tutto un nuovo modo di lavorare e l’ammissione della positiva necessità di ricorrere, in modo generalizzato, a forme di lavoro “altre” da quelle tradizionalmente conosciute e radicate soprattutto nell’immaginario collettivo. Si può dire sia stato un tragico punto di snodo che ha indotto un attonito popolo ad osservare, talvolta con sentimenti di profonda gratitudine, il silenzioso affermarsi, per esempio, dei fattorini del web (meglio noti come riders) nelle forme di una strategica risorsa per coprire servizi essenziali tipici dell’emergenza, quali, in particolare, la consegna della spesa a domicilio, ma penso pure ai prodotti farmaceutici. A molti è certamente capitato di osservare, durante i frequenti notiziari di aggiornamento dell’evoluzione epidemiologica, i cartelloni dei riders con la scritta “siamo un servizio pubblico essenziale”. Del resto, attenti studiosi hanno pure evidenziato che “torna […] in primo piano non solo la funzione essenziale ma persino la dimensione eroica del lavoro: basti pensare all’obbligo di prestare lavoro nei servizi essenziali, a partire dalla sanità” [1]. In un momento storico in cui in Italia veniva disposto il confinamento forzoso e si rimaneva col fiato sospeso, anzi bloccati, dinanzi ad un evento tanto imprevisto (seppure, forse, prevedibile) quanto emotivamente disarmante, qualcuno continuava a muoversi per prestare la propria attività lavorativa, con la variabile nuova della destinazione funzionale essenziale del proprio operato, in ragione del tragico contesto. Ferma restando l’encomiabile prosecuzione del lavoro di tutto il settore sanitario, ma pure della filiera alimentare (fino al segmento della vendita nei supermercati e negozi di generi alimentari) e delle categorie essenziali espressamente indicate nei vari d.p.c.m. che si sono susseguiti, alcuni peculiari lavori, strettamente intrecciati con le esigenze emergenziali del periodo, sono proseguiti [2]. E così i fattorini che si sono preoccupati di fare la spesa per gli anziani o quelli che hanno consegnato farmaci a domicilio, ma pure, e più in generale, tutti i vettori, a vario titolo, impegnati a recapitare gli unici beni acquistabili [continua ..]
Negli ultimi anni è emerso in modo dirompente il fenomeno dei worker digitali su impulso dell’esercito di lavoratori che popola l’universo della gig economy e del lavoro on demand in genere. L’emergenza Covid-19 oltre ad assumere il ruolo di cassa di risonanza di queste pratiche, ha svolto pure la funzione, inaspettata e imprevedibile, di moltiplicatore del ricorso ai lavori con (e su) piattaforma digitale, in tutte le relative variegate espressioni. Pure il ricorso allo smart working, quale unica tipologia di lavoro possibile durante l’emergenza, può essere annoverato come una delle manifestazioni di questa incrementale affermazione del lavoro attraverso le piattaforme. Come si sa, per un verso, la chiusura – con il susseguirsi dei decreti ministeriali dei mesi di marzo 2020 di cui si è detto più sopra – degli esercizi commerciali e delle attività di ristorazione ha determinano un rilancio della richiesta di cibo a domicilio (il food delivery), ma per altro, e se vogliamo, più interessante verso, si è assistito, come accennato nella premessa, al progressivo diversificarsi della richiesta di intervento dei fattorini del web. Ora per consegnare la spesa a domicilio, ora persino per l’acquisto di farmaci e altri beni necessari per fronteggiare l’emergenza epidemiologica. Per non parlare del formidabile balzo in avanti del numero dei lavoratori che hanno avuto accesso allo smart working. Dall’indagine condotta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, che da anni indirizza un focus sull’implementazione del lavoro agile nel nostro ordine giuridico interno, si rileva un incremento esponenziale di lavoratori in modalità da remoto [9]. Quando a lavorare smart, in una fase di poco precedente, erano solo poche centinaia di unità di personale. Nessuno, prima di questo peculiare frangente storico, avrebbe potuto ipotizzare il ricorso così massivo alle prestazioni su piattaforma in generale, e dei riders in particolare, per lo svolgimento di attività assai lontane dall’immaginario collettivo. Lo sconvolgimento delle abitudini ha costretto tutti a fare i conti con questa nuova dimensione lavorativa e con tutte le problematiche che ne sono naturalmente derivate. Cosa potrebbe accadere in situazioni come queste, che non si esclude possano [continua ..]
Nelle economie occidentali avanzate lo sciopero, in quanto tale, è in declino. Lo dimostrano le statistiche [20] e questo non perché sia possibile specularmente osservare una progressiva pacificazione nelle relazioni di lavoro. Non si può certo dire che sia stata raggiunta la pace sociale, piuttosto lo sciopero risulta, molte volte, impraticabile, sia per chi non gode di un minimo di stabilità occupazionale sia per chi l’occupazione la vede minacciata dal “ricatto” [21] della delocalizzazione [22]. Eppure il sogno e il bisogno di ottenere ascolto sulle proprie legittime rivendicazioni non è venuto meno e non sono contestualmente venute meno nemmeno le esigenze di controllo e di governo della conflittualità. Al contrario, il conflitto resiste, anzi abbisogna, a maggior ragione oggi, di accurata regolazione [23]. La domanda alla quale si è spinti a rispondere è tutta condensata nella possibilità, o meno, di riconoscere ai fattorini del web il diritto (o libertà?) di astenersi dal lavoro, ed eventualmente a che titolo, e ancora se da questa astensione possa, per ipotesi, scaturire un pregiudizio da contemplare (e disinnescare) per altri beni/interessi costituzionalmente tutelati. I mesi di lockdown forzoso, correlati alla pandemia, e la sospensione di gran parte delle attività – fatta eccezione, solo per fare degli esempi, per i lavori traducibili in smart working o per l’essenziale funzione di tutti i riders – hanno di fatto determinato una trasfigurazione dei luoghi della protesta. Ancora un cambio di pelle dello sciopero, che potrebbe rilanciare il fatto in sé della coalizione quale motore del conflitto medesimo. Il “non lavoro” di molti ha determinato, in verità, un’accelerazione del ricorso a certi lavori on demand (e alle piattaforme in genere [24]) e contestualmente ha spinto alcuni dei lavoratori di questo universo, i riders, a coalizzarsi per avanzare le proprie rivendicazioni e ottenere il riconoscimento sperato di tutele e condizioni di lavoro più adeguate [25]. Per sciogliere il nodo applicativo, sopra prospettato, ad avviso di chi scrive, non è risolutivo addentrarsi nella difficile e controversa questione della qualificazione giuridica del lavoro dei worker digitali [26]. Si [continua ..]
Che l’interesse al conflitto, proiettato alla conquista di sempre maggiori tutele, emerga prepotente nell’era del lavoro digitalizzato è acclarato anche dalle querelle giurisprudenziali che si susseguono nel panorama globale, ma pure locale. Basti pensare alla vicenda di Foodora e alle ondivaghe pronunce giurisprudenziali emesse al riguardo. Ma sarebbe riduttivo fermarsi a questo punto di osservazione. La vicenda dei fattorini di Foodora ha avuto solo il ruolo di detonatore di un processo a catena innescato da un dissenso trasversale che coinvolge non solo il delivery food, ma il complessivo universo del lavoro “da piattaforma” [37]. La pandemia ha solo lasciato intravedere nuovi bisogni di tutela. Anche qui il divenire dei fatti e delle vicende correlate all’emergenza epidemiologica dimostra che la fantasia dello studioso, per quanto possa essere vivace, risulta sempre limitata in rapporto a quanto, poi, nella realtà possa concretamente verificarsi. Il Tribunale di Firenze, l’1 aprile del 2020, pronunciandosi inaudita altera parte proprio in tempi di Covid19, “ha ritenuto che, pur se qualificabile come autonomo, il rapporto di lavoro de quo va ricondotto a quelli disciplinati dall’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, per i quali, in un’ottica sia di prevenzione sia «rimediale», si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”. Il giudice ha stabilito pure che in ragione delle modalità di svolgimento di questo tipo di lavoro “[…] va fatta applicazione della disciplina del Capo V-bis del d.lgs. n. 81/2015 («Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali»), finalizzata a stabilire «livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore […] attraverso piattaforme anche digitali»”. Questo significa che il committente che utilizzi la piattaforma anche digitale è tenuto, nei confronti di questi lavoratori, a propria cura e spese, al rispetto del d.lgs. n. 81/2008 e, quindi, anche al rispetto di quanto previsto dall’art. 71 dello stesso. Tutte le volte che si riesca a rinvenire gli estremi per l’applicazione dell’art. 2 sopra citato nulla quaestio [38], ma cosa fare per lavoratori rispetto ai quali l’applicabilità di default [continua ..]
I mutamenti intervenuti nel panorama socio economico italiano, ma non solo, sia riguardo la volatilità dei confini fra lavoro subordinato ed autonomo, sia riguardo le modalità di esplicazione dei nuovi lavori con (e su) piattaforma, mettono per molti versi in crisi l’utilità dei mezzi tradizionali di conflitto. Questo perché i tipici strumenti del dissenso collettivo sono fioriti intorno all’impresa, quella industriale, da sempre vista come istituzione che sottomette la collettività dei lavoratori al potere di un datore di lavoro sotto l’egida della legge nazionale. Nei nuovi luoghi di “lotta” è tutto diverso. Le dinamiche di interazione assumono connotati tutti peculiari ma il dato certamente da non sottovalutare è lo scolorire della dimensione collettiva a vantaggio di quella individuale. Quasi non sia più necessario un portavoce organizzato [42] capace di agglutinare le variegate voci dei lavoratori, avendo, invece, la piazza digitale la vocazione intrinseca a lasciare emergere le singole voci, sommando le une con le altre. Il fenomeno del movimento dei grillini e dell’illuminismo digitale può costituire, con tutti i suoi vizi (molti in verità) e le sue virtù, un interessante campo di osservazione [43]. Per molti versi si è assistito a un ritorno alle origini del fenomeno e questo perché il dato che accomuna le tipologie del conflitto e di manifestazione del dissenso, è ravvisabile proprio nel potere di coazione di una certa coalizione di soggetti [44]. Questo, però, con alcune variabili non indifferenti rispetto alla tradizione dei conflitti nel (e per il) lavoro. Il web è dotato di una naturale vocazione alla espansione delle capacità comunicative dell’individuo, ma, contestualmente, è pure un luogo foriero di una certa insofferenza verso il ruolo dei sindacati [45]. Come si diceva il “collettivo” cede il passo alla dimensione individuale one to one, tipica di molte attività che transitano attraverso un qualsiasi schermo. L’emergenza globale, correlata al diffondersi del virus, ormai tristemente noto come Covid19, ha contribuito a rinsaldare la consapevolezza della capacità di impatto mediatico di alcune forme di aggregazione finalizzate ad esprimere un pensiero o uno stato d’animo. Basti, a questo fine, [continua ..]