TRIBUNALE DI MILANO, 22 FEBBRAIO 2017, N. 519
Est. S.M. Moglia
Impiegati dello Stato e pubblici in genere – Mobilità – Art. 30 D.Lgs. n. 165/2001 – Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse – Natura giuridica – Novazione del contratto – Soggettiva.
Impiegati dello Stato e pubblici in genere – Mobilità – Art. 30 D.Lgs. n. 165/2001 – Bando – Requisiti – Valutazioni – Consenso Amministrazioni – Necessità.
Impiegati dello Stato e pubblici in genere – Mobilità – Art. 30 D.Lgs. n. 165/2001 – Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse – Amministrazione di partenza – Nulla osta – Necessario – Nulla osta preventivo previsto dal bando – Idoneità alla presentazione della domanda – Difetto di consenso definitivo – Diritto al trasferimento – Non sussiste.
La mobilità realizza un'ipotesi di cessione del contratto, una novazione, ma solo dal lato soggettivo, nel rapporto contrattuale che vede il subentro, nella posizione di colui che riceverà la prestazione, di un nuovo soggetto. Il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse può avvenire previo consenso della P.A. di appartenenza e valutazione di quella di destinazione. È, infatti, certamente conforme alla natura della mobilità, che prevede la partecipazione di una pluralità di soggetti, la possibilità, per l'amministrazione di destinazione di stabilire le modalità di partecipazione e quindi anche di valutazione, nonché verificare che il soggetto soddisfi tutti i requisiti richiesti per il miglior risultato utile. Pur in presenza dei pareri preventivi, ovvero quelli che consentivano la presentazione della domanda, in difetto del nulla osta definitivo (mancanza che non si ritiene contra legem), la procedura di mobilità non può dirsi perfezionata e quindi nessun diritto può essere riconosciuto al partecipante. (Omissis). Il ricorso proposto da xxx va rigettato. La mobilità del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni trova fonte nell'art.30 D.lgs. 165/2001 che, nella sua versione aggiornata, rubricato "Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse" dispone: “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. In via sperimentale e fino all'introduzione di nuove procedure per la determinazione dei fabbisogni standard di personale delle amministrazioni pubbliche, per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all'amministrazione di appartenenza. Per agevolare le procedure di mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di mobilità”. Le deduzioni svolte dalle parti si concentrano [continua..]1. Il tema - 2. Cenni sulla natura e sulla struttura della mobilità del dipendente pubblico - 3. Il consenso dell'amministrazione cessionaria - 4. La natura giuridica delle procedure di mobilità - 5. I mezzi di tutela dell'interesse del lavoratore in possesso dei requisiti prescritti dalla legge ad essere immesso in ruolo dall'amministrazione cessionaria - Note
Nell'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, la mobilità è una vicenda modificativa del rapporto di lavoro del pubblico dipendente, il quale transita da un'amministrazione a un'altra, dello stesso o di diverso comparto, con inserimento stabile e permanente nei ruoli del personale di quest'ultima, senza che si dia luogo a contestuale trasferimento o conferimento di attività[1]. L'istituto, e più il sottotipo che si suole denominare come mobilità volontaria, assolve a una funzione eminentemente organizzativa: è positivamente ordinato a garantire una distribuzione ottimale delle risorse umane nell'ambito della pubblica amministrazione globalmente intesa[2] e, per questa via, il contenimento della spesa pubblica[3]. In ragione della consistenza degli interessi protetti, la legge dispone una preferenza assoluta della mobilità rispetto alle assunzioni dall'esterno[4], alla quale la Corte costituzionale ha riconosciuto la valenza di principio generale del pubblico impiego, correlato a quelli del contenimento della spesa e del miglioramento dell'efficienza degli apparati pubblici, enunciati dall'art. 1, D.Lgs. n. 165/2001 (ma vedi oggi anche l'art. 16, comma 1, lett. d), legge 15 luglio 2011, n. 111)[5]. Riguardato dal punto di vista delle singole amministrazioni riceventi, l'istituto è considerato generalmente un intralcio al perseguimento delle strategie di reclutamento del personale più aderenti alle loro concrete esigenze organizzative, perché le costringe a farsi carico di lavoratori per la più parte anziani, non di rado ascesi ai livelli di inquadramento posseduti mediante progressioni per anzianità o sanatorie, e con una professionalità sovente obsoleta[6]. Nella prassi applicativa, non di rado sono gli interessi, diciamo così, oppositivi degli enti onerati dalle procedure di mobilità a prevalere, con scostamenti più o meno vistosi rispetto alle previsioni di legge. Del che è testimonianza la sentenza in commento, pronunciatasi su di una vicenda in seno alla quale all'unica candidata a ricoprire il posto messo a bando è stato chiesto di sottoporsi ad una prova di idoneità, la quale, ça va sans dire, ha avuto esito negativo, con conseguente apertura della possibilità di mettere il posto di lavoro a bando pubblico per l'accesso dall'esterno.
La disciplina positiva costruisce la mobilità del dipendente pubblico secondo il modello generale della cessione del contratto, contrapponendola alle nuove assunzioni di personale[7]. La mobilità è, pertanto, vicenda negoziale che si perfeziona e si attua con il concorso della volontà di tre soggetti: l'amministrazione cedente, il lavoratore ceduto e l'amministrazione cessionaria. Nella vicenda che dà spunto alle presenti note è il frammento di procedura concernente il consenso dell'amministrazione cessionaria a venire in rilievo.
Di regola, l'atto che dà l'abbrivio al procedimento che sfocia nella mobilità è la decisione di colmare in forma stabile e permanente un vuoto di organico da parte dell'amministrazione cessionaria[8]. Contro le apparenze, tuttavia, l'avvio della procedura di mobilità, con l'effettuazione delle comunicazioni obbligatorie ai soggetti che gestiscono le liste del personale in disponibilità e con l'adozione dei prescritti bandi[9], non configura l'espressione del consenso dell'amministrazione cessionaria al transito di uno o più dipendenti provenienti da altre amministrazioni. Nonostante il diverso opinare di alcuni interpreti, gli avvisi di mobilità non integrano gli estremi dell'offerta al pubblico ai sensi dell'art. 1336 c.c. Si tratta piuttosto di inviti ad offrire, rivolti a provocare l'istanza di passaggio diretto da parte dei lavoratori interessati[10]. Non è dunque l'amministrazione cessionaria ad assumere la veste di proponente della cessione del contratto[11]. La formazione del consenso di questa rispetto all'istanza mobilità del singolo dipendente avviene secondo una modalità procedurale, scandita nelle diverse fasi: a) della valutazione del possesso dei requisiti professionali previsti dal bando; b) della verifica della sussistenza dei presupposti prescritti dalla legge[12]; c) eventualmente, della scelta fra più candidati, quando questi siano in numero superiore ai posti da coprire. In una certa fase dell'evoluzione normativa dell'istituto, questa porzione della procedura si è arricchita di un ulteriore passaggio: «il previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire»[13]. Per quanto si trattasse di un mero parere interno e non dell'atto con il quale l'ente disponeva o autorizzava la mobilità, esso aveva carattere obbligatorio; il che, nella prassi applicativa, lo rese un facile strumento per aggirare il divieto di nuove assunzioni senza il previo esperimento delle procedure di mobilità, previsto dall'art. 30, comma 2-bis, D.Lgs. 165/2001. Non di rado il parere negativo risultò motivato sulla scorta del generico riferimento alla mancanza di un'adeguata esperienza nelle mansioni proprie del posto da ricoprire: proposizione [continua ..]
Le procedure di mobilità non sono pubblici concorsi, né la mobilità può considerarsi una forma di accesso al pubblico impiego. Neppure dacché l'art. 30, comma 1, D.Lgs. 165/2001, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 4, legge114/2014, ha designato con il termine bando l'atto a mezzo del quale l'amministrazione cessionaria rende nota la disponibilità di posti da coprire mediante passaggio diretto è possibile assimilare la mobilità a una nuova assunzione[15]. La proposizione ha un suo preciso riscontro letterale nell'art. 30, comma 2-bis e nell'art. 34-bis, comma 1, D.Lgs. 165/2001, che espressamente contrappongono la mobilità all'assunzione. Inoltre, si argomentata agevolmente sulla base della ponderazione dell'art. 30, comma 2, D.Lgs. 165/2001, che, a proposito del procedimento di immissione in ruolo del dipendente in mobilità, discorre di preventiva fissazione dei requisiti e delle competenze professionali richieste, in un atto, sì denominato bando, ma soggetto alla sola pubblicazione sul sito istituzionale dell'ente procedente, che è tutt'altra cosa rispetto alla procedura da osservarsi e alla pubblicità prescritta per il concorso pubblico[16]. Dall'enunciata premessa discendono i seguenti corollari: a) la sottrazione alla disciplina del pubblico concorso quanto a oneri di pubblicità, valutazione del merito comparativo degli aspiranti, composizione delle commissioni giudicatrici, consistenza e selettività delle eventuali prove b) l'assegnazione al giudice ordinario del lavoro della giurisdizione sulle controversie in seno alle quali si denuncino violazioni della disciplina sostanziale o procedurale della mobilità; c) l'inapplicabilità della disciplina in materia di annullamento in autotutela degli atti del procedimento per ragioni di legittimità o di revoca per ragioni di opportunità; d) l'estraneità, salvo diversa disposizione di legge, dei transiti per mobilità ai blocchi o alle discipline altrimenti limitative delle assunzioni di nuove unità di personale; e) l'esaurimento dell'efficacia di eventuali graduatorie, senza possibilità di loro utilizzo per successive immissioni in ruolo, come invece accade per le graduatorie concorsuali per assunzione. Ciò detto, la legge è parca di indicazioni circa il contenuto degli atti che governano la [continua ..]
La sentenza in commento ha giudicato legittima la scelta dell'amministrazione procedente di sottoporre a una prova di idoneità l'unica lavoratrice istante. E dacché l'esito dell'esame è stato negativo non si è posta il problema degli strumenti di tutela dell'interesse del lavoratore al transito nei ruoli dell'amministrazione cessionaria, in caso di diniego di questa. Si tratta di un profilo di grande interesse, come lo sono tutte le questioni applicative, poco approfondito in sede teorica. Un punto incontroverso attiene all'incardinamento della giurisdizione in capo al giudice ordinario del lavoro, proposizione che discende linearmente dalla riconosciuta natura paritetico-privatistica degli atti della procedura di mobilità[26]. Né la sentenza in commento ha sollevato obiezioni in proposito, salvo un improprio riferimento “ad atti amministrativi resi pubblici”, che deve essere sfuggito dalla penna dell'estensore e dal quale non è derivata alcuna conseguenza per il profilo che qui interessa. Transitando dal piano del processo a quello del diritto sostanziale, la valutazione preliminare da fare, al fine di stabilire quali siano le tutele concretamente attingibili dal lavoratore, attiene alla qualificazione negoziale del bando di mobilità e alla ricostruzione del suo contenuto. Si è osservato che la mobilità non realizza la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con l'amministrazione cessionaria, ma una modificazione di un rapporto già in atto con quella cedente; il che vale ad attrarre gli atti della procedura nell'area dell'esercizio di poteri negoziali privati, ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. 165/2001[27]. Si è altresì detto che il consenso dell'amministrazione cessionaria si forma secondo una modalità procedurale, autonoma e separata dal bando o avviso di mobilità[28], che deve essere qualificato come semplice invito ad offrire e non come offerta al pubblico ai sensi dell'art. 1336 c.c.[29]. Se sono vere le sopra estese premesse, la prima conclusione da trarre è che l'immissione in ruolo del lavoratore istante necessiterà di una pronuncia costitutiva del giudice civile, che tenga luogo della cessione contrattuale non spontaneamente attuata. La qual considerazione sposta il problema sul terreno della fattispecie sostanziale, dovendosi verificare se: a) siano predeterminati gli elementi essenziali del [continua ..]