CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 6 GIUGNO 2017 N. 160
Pres. GROSSI – Rel. M. R. MORELLI
Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Regioni – Personale impegnato nell'attività di supporto diretto all'attività consiliare – Riparto competenza Stato/Regioni – Normativa Regionale – Contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma della Costituzione– Orario di lavoro – Materia dell'ordinamento civile – Illegittimità normativa regionale – Sussiste.
Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Regioni – Personale impegnato nell'attività di supporto diretto all'attività consiliare – Orario di lavoro – Superamento delle ore 21 – Trattamento economico – Applicabilità trattamento contrattuale previsto in caso di trasferta.
A seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva, in particolare, dall'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165 emerge il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici è affidato ai contratti collettivi, di tal che la disciplina di detto trattamento e, più in generale, quella del rapporto di impiego pubblico rientra nella materia «ordinamento civile» riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. La disposizione della Regione Liguria, qui oggetto di scrutinio – al di là della anomala sovrapposizione del trattamento di trasferta (che propriamente consiste in una indennità compensativa del disagio materiale e psicofisico che può comportare il raggiungimento della sede di lavoro) al diverso trattamento che spetta al dipendente in caso di protrazione, in sede, dell'orario di lavoro – concerne, comunque, un aspetto della retribuzione; e, per tale assorbente profilo, incide dunque sulla materia «ordinamento civile», riservata alla competenza esclusiva dello Stato. E ciò, di per sé, ne comporta l'illegittimità costituzionale. (Omissis). nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 2, della legge della Regione Liguria 21 giugno 2016, n. 8, recante «Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2015, n. 27 (legge di stabilità della Regione Liguria per l'anno finanziario 2016) e norme di semplificazione», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 12-17 agosto 2016, depositato in cancelleria il 18 agosto 2016 ed iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2016. Udito nell'udienza pubblica del 6 giugno 2017 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli; udito l'avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.− Con il ricorso in epigrafe, illustrato anche con successiva memoria, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, l'art. 8, comma 2, della legge della Regione Liguria 21 giugno 2016, n. 8, recante «Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2015, n. 27 (legge di stabilità della Regione Liguria per l'anno finanziario 2016) e norme di semplificazione», che ha inserito l'art. 8-quater nella legge, della stessa Regione, 17 agosto 2006, n. 25 (Disposizioni sull'autonomia del Consiglio regionale Assemblea legislativa della Liguria), nella parte in cui − detta aggiunta disposizione − nel secondo e terzo suo periodo, rispettivamente, prevede che, qualora la seduta dell'Assemblea consiliare regionale si protragga oltre le ore ventuno, al personale impegnato nell'attività di [continua..]Con la sentenza in commento la Corte costituzionale interviene sull'art. 8, comma 2 della legge 21 giugno 2016, n. 8 della Regione Liguria, dichiarandone in parte l'illegittimità costituzionale[1]. Nel ricorso presentato dall'Avvocatura dello Stato, si rileva infatti che la norma, disponendo direttamente in materia di trattamento economico collegato all'orario di lavoro, violerebbe innanzitutto l'art. 117, comma 2, lett l) della Costituzione, che prevede la competenza esclusiva del legislatore statale sull'“Ordinamento civile”; in secondo luogo si lamenta che la disposizione, comportando maggiori oneri finanziari, contrasterebbe con il comma 3 dello stesso art. 117 della Costituzione il quale, elencando tra le materie a legislazione concorrente anche il “coordinamento della finanza pubblica”, obbliga le Regioni a rispettare i “principi fondamentali” determinati dallo Stato. La Corte non affronta il problema del contrasto con il comma 3 dell'art. 117 ma ritiene fondata ed assorbente la questione con riferimento al contrasto con il comma 2, lett. l) dello stesso articolo: a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, infatti, la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della PA anche regionale è retta da disposizioni del codice civile e, in particolare per i profili relativi al trattamento economico, dalla contrattazione collettiva e rientra, dunque, nella materia “ordinamento civile” riservata alla competenza esclusiva dello Stato. La sentenza si inserisce così nel solco di un orientamento della giurisprudenza costituzionale sul riparto delle competenze legislative in materia di lavoro pubblico ormai piuttosto consolidato che, di fronte ad un contenzioso consistente e ad indubbie difficoltà interpretative, ha inteso circoscrivere la potestà legislativa delle Regioni per assicurare, grazie al riconoscimento della competenza statale, una disciplina uniforme e livelli di tutela omogenei sull'intero territorio nazionale. D'altra parte il compito della Corte costituzionale è stato fin da subito reso arduo dalla contemporanea apertura di fronti diversi e complessi: alla riforma costituzionale del Titolo V si sono infatti affiancate da un lato la riforma del mercato del lavoro, dall'altro la complessa opera di riorganizzazione amministrativa e, in particolare, la privatizzazione del pubblico impiego[2]. In tale contesto va quindi inquadrata [continua ..]