Cambiano i governi e, purtroppo, in Italia, le cose restano in sostanza uguali, seppure in apparenza ne risulti mutata la forma. Questa purtroppo non è una facile battuta, ma la constatazione di un’amara realtà, specie se si concentra la visuale sulle questioni concernenti le dinamiche del settore del lavoro pubblico, della dirigenza e, più in generale, della ricerca di strumenti atti a migliorare l’efficienza complessiva delle pubbliche amministrazioni. Anzitutto, e per fortuna, il tempo ha dato ragione a chi, nonostante le imperanti narrazioni di stampo neoliberista, ha sempre sostenuto l’importanza della presenza di un ramificato apparato pubblico di erogazione di servizi, per sostenere lo sviluppo del paese, per mantenere la coesione sociale, per soddisfare i bisogni essenziali dei cittadini e per contribuire alla diffusione dell’educazione e della civiltà.
Cambiano i governi e, purtroppo, in Italia, le cose restano in sostanza uguali, seppure in apparenza ne risulti mutata la forma. Questa purtroppo non è una facile battuta, ma la constatazione di un’amara realtà, specie se si concentra la visuale sulle questioni concernenti le dinamiche del settore del lavoro pubblico, della dirigenza e, più in generale, della ricerca di strumenti atti a migliorare l’efficienza complessiva delle pubbliche amministrazioni. Anzitutto, e per fortuna, il tempo ha dato ragione a chi, nonostante le imperanti narrazioni di stampo neoliberista, ha sempre sostenuto l’importanza della presenza di un ramificato apparato pubblico di erogazione di servizi, per sostenere lo sviluppo del paese, per mantenere la coesione sociale, per soddisfare i bisogni essenziali dei cittadini e per contribuire alla diffusione dell’educazione e della civiltà. Il problema concreto è, al momento, diventato, infatti, più che la riduzione dello spazio pubblico (di cui in sostanza non si parla più, visto che s’è accertato che il “privato” spesso non è bello come appare nelle favole) quello di aumentare la capacità di risposta delle pubbliche amministrazioni alle esigenze della società e quindi di incrementare ciò che si definisce come efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa. Purtroppo, a questo proposito, i policy makers, in modo bipartisan, continuano a pensare e, soprattutto, a diffondere, con tecniche sempre più fantasiose di marketing elettorale e di storytelling, l’idea che le cose possano cambiare a colpi di mere riforme legislative senza curarsi effettivamente di svolgere azioni di governo nella direzione auspicata. Così, ormai, è prassi abituale che ogni Governo, all’atto del suo insediamento, annunci la necessità di una riforma epocale della pubblica amministrazione. Di conseguenza, il discorso pubblico è stato (ed è sempre) dominato dal cosiddetto mito della riforma della pubblica amministrazione. Certo, vi sono differenze sostanziale tra i vari periodi temporali. Fino agli novanta del secolo scorso, gli interventi si sono ridotti, in concreto, a piccoli ritocchi dello stato giuridico ed economico del personale; ritocchi che anzi sono stati fortemente influenzati dalle esigenze di quest’ultimo soprattutto nell’applicazione pratica. E anche l’importante provvedimento che ha istituito nel 1972 la dirigenza pubblica statale è stato in sostanza travolto nei fatti (rectius, dalle forze e dagli interessi che si opponevano alla trasformazione); in quanto, come ebbe a dimostrare magistralmente Sabino Cassese, si instaurò immediatamente uno scambio tra potere e sicurezza tra organi politici e dirigenza, a seguito del quale la dirigenza rinunciò a svolgere i compiti affidatigli dalla legge in cambio della garanzia [continua..]