L’articolo si occupa di ricostruire i mutamenti giuridici che hanno interessato la speciale figura di lavoratore pubblico dell’insegnante di religione cattolica nella scuola italiana alla luce delle parallele trasformazioni dell’istituto del contratto a tempo determinato. Un percorso che ha seguito necessariamente anche il mutare degli scenari delle relazioni Stato-Chiesa in Italia e la fine del confessionismo di Stato, passando nel tempo da una precarietà strutturale alla c.d. legge Moratti del 2003 che, pur nella novità, non si è rivelata risolutiva dei problemi sul tavolo legati alla fine dell’utilizzo dei contratti a tempo determinato (sopravvissuti in ragione del 30% della forza in pianta organico). L’ultimo intervento dei numerosi operati dai giudici sul tema, qui in commento, si deve alla Corte di Giustizia europea che, in ossequio al diritto del lavoro europeo e ai suoi cardini, con la sentenza 13 gennaio 2022 ha ritenuto la normativa nazionale di settore italiana sugli insegnanti di religione non idonea a prevenire o a sanzionare gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
Parole chiave: insegnanti di religione cattolica – ora di religione – tempo determinato – ordinamento scolastico pubblico – diritto europeo del lavoro.
This article is concerned with reconstructing the legal changes that have affected the special public worker figure of the Catholic religious education teacher in Italian schools in light of the parallel transformations of the institution of the fixed-term contract. A path that has necessarily also followed the changing scenarios of State-Church relations in Italy and the end of State confessionalism, moving over time from structural precarity to the so-called Moratti law of 2003, which, despite its novelty, did not prove to be decisive in solving the problems on the table related to the end of the use of fixed-term contracts (which survived at the rate of 30 percent of the force on the organic plant). The latest intervention of the many made by the courts on the subject, here under comment, is due to the European Court of Justice, which, in deference to European labor law and its cornerstones, in its Jan. 13, 2022 ruling found Italy’s national sector regulations on religious education teachers to be inadequate to prevent or sanction abuses arising from the use of a succession of fixed-term contracts or employment relationships.
Keywords: Catholic religious education teachers – religious education hour – fied term contract – public school legal system – european labor law.
1. Cenni preliminari sul rapporto di lavoro pubblico a tempo determinato in Italia e nella c.d. “politica sociale europea” - 2. L’insegnante di religione nell’ordinamento scolastico italiano: dalla precarietà strutturale alla “Legge Moratti” (l. n. 186/2003) - 3. I termini della vertenza in sede europea e il nocciolo della questione: l’incompatibilità dell’attuale sistema di reclutamento degli insegnanti di religione italiani a tempo determinato nella scuola pubblica con il diritto dell’Unione Europea - NOTE
In un mondo del lavoro che si scopre profondamente in crisi dopo la stagione della globalizzazione [1] e che deve affrontare diverse e cangianti nuove sfide conseguenti la fine della pandemia e le dinamiche imposte su vasta scala dal conflitto bellico tra Russia e Ucraina [2], strumenti di sistema come la c.d. “politica sociale europea” [3] e le politiche nazionali di spesa dell’apparente eldorado generato dal PNRR [4], appaiono elementi in continua trasformazione. Il sistema di welfare pubblico tenta infatti di ridisegnare con difficoltà, nei loro profili costitutivi, le concrete forme di sostegno al superamento di alcuni gap di sistema [5] e alla regolamentazione del rapporto di lavoro, soprattutto con i global player e verso le imprese che sfruttano l’apporto delle nuove tecnologie [6]. In questo quadro già complessissimo e in continuo movimento, si inserisce la declinazione in concreto della regolamentazione del mercato del lavoro in sede europea [7] e all’interno dei singoli Stati che vi aderiscono. Tra gli strumenti necessari a tale sforzo troviamo da sempre il contratto di lavoro a tempo determinato, qui in analisi in relazione al caso degli insegnanti di religione, che per sua natura – almeno in sede italiana – ha visto susseguirsi politiche ondivaghe di favor e di reprimenda verso questa tipologia contrattuale a seconda delle maggioranze politiche determinatesi alla guida del Paese. Diversa considerazione ha invece detto strumento contrattuale nell’agone europeo, già dal 1989, quando la Commissione della CEE adottò, all’indomani della caduta del muro di Berlino, la “Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori” che si occupava di delineare il perimetro in merito ai principi base del diritto del lavoro europeo e faceva espresso richiamo al lavoro a tempo determinato (punto 7). Molta acqua da allora è passata sotto i ponti e tanti gli interventi che si sono susseguiti soprattutto in sede politica vedi Direttiva 1999/70/CEE, più volte giustamente richiamata dai giudici europei nella sentenza che ci occupa, ma anche a livello giurisdizionale per spingere le parti sociali ad accettare un cambio di mentalità e una valorizzazione degli strumenti di flessibilità, in specie il contratto a tempo determinato. L’Italia col d.l. n. 368 del 6 settembre 2001 di recepimento delle [continua ..]
La speciale figura lavorativa dell’insegnante di religione e l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica in generale sono spesso al centro del dibattito legislativo e delle pronunce della giurisprudenza [15]. Anche questa materia ha seguito per la sua natura intrinseca di terreno di confine tra Stato e Chiesa cattolica il destino dei mutamenti giuridico-politici che le c.d. res mixtae hanno dovuto attraversare. Il cambio di passo strutturale dal regime di totale favor dei Patti Lateranensi e della relativa condizione di religione ufficiale dello Stato che garantivano tale assetto tramite lo strumento del “vecchio” art. 36 del Concordato del 1929 [16], fu determinato dall’Accordo di Villa Madama del 1984 che all’art. 1 del protocollo addizionale poneva fine al confessionismo di Stato e rilanciava con il “nuovo” art. 9 l’ora di religione [17], frutto di un compromesso modernizzatore tra le Alte Parti. Tale configurazione vede ancora oggi lo Stato garantire la fornitura dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica ma in una logica parzialmente diversa che lascia spazio alla coscienza dell’individuo in formazione, che consente di scegliere [18] e vara definitivamente, con alcuni scossoni di assestamento [19], la stagione della non obbligatorietà [20]. Dal punto di vista generale, di inquadramento del sistema, si può parlare sicuramente di elementi forti di continuità con l’assetto precedente che però hanno visto, dopo l’Accordo di craxiana fattura, l’ingresso di altri fattori innovativi e scelte necessitate dal parallelo avvio della stagione delle intese con le minoranze religiose storiche [21]. Per ciò che attiene nello specifico il ruolo della docenza, vero cuore del problema e il suo rimodularsi adattandosi alla fine di un mondo consolidato ovvero il venire a mancare del “vestito” della religione di Stato e la conseguente obbligatorietà a 360 gradi per chi fornisce il servizio e per chi ne è fruitore, si può dire serenamente che, come dimostra la sentenza europea in commento, i tormenti e le difficoltà in questo quadrante sembrano lontani da una sistemazione soddisfacente e conclusiva. Il passaggio di sistema verificatosi in parte de facto e in parte per statuizione concordataria e sub-concordataria da docenti nella quasi [continua ..]
La giurisprudenza europea si è più volte interessata delle dinamiche normative sottese nei singoli Paesi membri all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche [32] ed è più volte intervenuta, più in generale e in coerente accordo con la sua legislazione in materia di parità di trattamento dei singoli e delle loro identità sul lavoro per ristabilire il quadro dei diritti laddove violato. Spesso e volentieri i giudici europei hanno fatto ricorso al principio politico ispiratore e fondativo “uniti nella diversità” e all’art. 17 TFUE [33] che regolano l’agire delle Istituzioni Europee con riguardo alle identità confessionale dei cittadini e delle comunità religiose dei e nei singoli Stati membri. Questa volta la Corte di Giustizia, nel pronunciarsi nel caso di specie, non ha ritenuto operante l’art. 17 TFUE voluto a suo tempo dalle Chiese tradizionali presenti nel contesto europeo e invocato, ironia della sorte, sempre più spesso dagli Stati nazionali per difendere scelte locali nelle materie date. Differentemente da altre decisioni, anche recenti, i giudici europei non hanno valutato toccati gli assetti e i rapporti organizzativi tra uno Stato membro della UE e una Chiesa ma invece hanno ritenuto che quella del diverso regime contrattuale applicato ad 1/3 dei lavoratori pubblici addetti all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali fosse una questione che riguardasse semplicemente le condizioni di lavoro di queste persone (par. 51 della Sentenza in commento). Sgombrato il campo dal macigno giuridico dell’art. 17 TFUE rimane sul tavolo la questione “regina” in merito alla quale la Corte di Giustizia Europea, adita dal Tribunale di Napoli con ordinanza del 13 febbraio 2019, ha dovuto prendere un indirizzo chiaro e netto ovvero se la situazione normativa in cui si trovano attualmente gli insegnanti di religione italiani sia astrattamente e in concreto discriminatoria ai sensi della Direttiva 2000/78/CE e dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali e se compatibile o meno con la Direttiva 1999/70/CE e conseguentemente con le clausole inserite nell’Accordo quadro che la stessa recepisce [34]. I giudici europei relativamente al primo profilo ovvero se vi fosse la prova concreta o perlomeno “…la mera verosimiglianza di una [continua ..]