Il contributo analizza il fenomeno delle integrazioni tra aziende ed enti del servizio sanitario nazionale italiano, con particolare riferimento alle esperienze della Regione Emilia Romagna. L’analisi si sofferma sui modelli organizzativi adottati nei processi di integrazione, con particolare riferimento alla questione della gestione delle risorse umane, evidenziando effetti e criticità delle diverse soluzioni adottate.
The article analyzes the phenomenon of integrations between administrations and institutions of the Italian national health service, with particular reference to the experiences of the Emilia Romagna Region. The analysis focuses on the organizational models adopted in integration processes, with particular reference to the issue of human resources management, highlighting the effects and criticality of the different solutions adopted.
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1. Introduzione - 2. Cosa si intende per “integrazione” - 3. Le evidenze di letteratura nel National Health Service inglese - 4. L’evoluzione del fenomeno delle integrazioni in Italia - 4.1. Lombardia - 4.2. Veneto - 4.3. Toscana - 4.4. Friuli Venezia Giulia - 5. Le esperienze nella Regione Emilia Romagna - 5.1. Il contesto normativo e le integrazioni a livello regionale - 5.2. L’evoluzione dei processi di integrazione aziendale dal 2004 al 2014 - 5.2.1. La fusione delle Aziende USL di Bologna - 5.2.2. La fusione delle Aziende USL della Romagna - 5.3. Le integrazioni avvenute dal 2015 ad oggi - 5.3.1. Le integrazioni tra le Aziende di Ferrara - 5.3.2. L’integrazione degli ospedali di Modena - 5.3.3. L’unificazione di AUSL e AO di Reggio Emilia - 5.3.4. Le integrazioni di Parma e Piacenza - 5.3.5. Le integrazioni tra le Aziende dell’Area Metropolitana di Bologna - 5.4. Una “tassonomia” delle integrazioni avvenute in Emilia Romagna - 5.5. Nuovi scenari di integrazione in Emilia-Romagna - 6. Processi di integrazione dei servizi sanitari e gestione delle risorse umane - 6.1. Assegnazione temporanea di personale - 6.2. Cessione di rami di attività ad Azienda cessionaria esistente - 6.3. Cessione di attività per costituzione di nuova Azienda - 6.4. Le ipotesi di assegnazione temporanea di personale tra amministrazioni previste per il perseguimento di obiettivi comuni - 7. Conclusioni - Bibliografia - NOTE
Il tema del ridisegno dei “confini dell’impresa” [1] nel mondo sanitario è divenuto di attualità nel momento in cui è risultato indispensabile trovare il punto di equilibrio tra il dover rispondere a bisogni assistenziali della popolazione, sempre crescenti e in mutamento a causa dei cambiamenti demografici e sociali [2], e la necessità di garantire la sostenibilità del sistema, caratterizzato da costi sempre crescenti. Se da un lato occorre spostare il baricentro dei servizi sul territorio, per garantire la presa in carico dell’intero percorso di cura del paziente, sempre più anziano, fragile e pluripatologico, dall’altro l’evoluzione scientifica induce continui investimenti in tecnologie ad alto costo, in grado di assicurare nuove terapie, ampliando quindi la platea dei destinatari dei servizi sanitari e determinando l’aumento dei costi a carico del sistema. Garantire la sostenibilità del sistema obbliga quindi i decisori politici ad affrontare il tema della riconfigurazione dell’intera catena dei servizi, individuando soluzioni che permettano di governare l’intero processo di cura, garantendo continuità (e condivisione) degli investimenti. Dopo anni di esperienze di fusioni tra ospedali, prima negli USA e poi in Europa, ora la tendenza è di integrare “verticalmente” i diversi livelli di assistenza (le cure primarie e l’assistenza ospedaliera), puntando allo sviluppo di sistemi di cura place-based, che cercano di contenere in un’unica filiera la risposta ai bisogni di tipo sanitario e sociale della popolazione. Se pensiamo alla recente emergenza sanitaria determinata dal COVID-19, l’importanza della integrazione tra Sanità Pubblica, e sistemi di cure territoriali ed ospedaliere si è resa ancora più evidente, portando alla luce l’inadeguatezza di sistemi fortemente ospedalocentrici che si sono trovati impreparati nella presa in carico del paziente sul territorio [3] e nella relazione con la sanità pubblica, titolare dei processi di prevenzione. La sfida è quindi – ancora – quella di trovare la soluzione organizzativa ottimale per la gestione del percorso di cura, in una filiera tanto forte e strutturata per garantire i benefici di sistema, quanto flessibile e pronta a reggere a scosse e cambiamenti. Occorre quindi individuare forme di [continua ..]
Non esistendo in letteratura una definizione univoca per descrivere il livello di collaborazione tra le aziende, si utilizza qui la classificazione di Sara J. Singer, che – in una recente revisione sulle integrazioni – le distingue in base a caratteristiche strutturali, organizzative e sociali, ed analizza il nesso tra il livello di integrazione e i risultati per il paziente, sia in termini di qualità tecnica che di efficienza (v. Tabella 1). Tabella 1. – Le cinque tipologie di integrazione (Singer et al., 2018). TIPO OGGETTO DELL’INTEGRAZIONE CARATTERISTICHE STRUTTURALE(O ORGANIZZATIVA) Legami fisici, operativi, finanziari o legali tra gruppi e organizzazioni in un sistema sanitario Organizzative, relative al modo in cui vengono create le strutture e i sistemi FUNZIONALE Accordi formali scritti, relativi ad attività che supportano il processo decisionale tra organizzazioni e individui (ad es. gestione del personale, gestione finanziaria, pianificazione strategica, miglioramento della qualità, gestione dei servizi, …) NORMATIVA Condivisione di una cultura comune di integrazione tra unità e organizzazioni all’interno del sistema; capacità dei leader di promuovere la cultura di coordinamento, comunicazione, continuità delle cure, … Sociali, relative a ciò che le persone credono e a come si comportano insieme INTERPERSONALE Riferita alla collaborazione e al lavoro di squadra tra operatori sanitari, e tra operatori sanitari e non sanitari (caregivers) e pazienti DI PROCESSO(O CLINICA) Riferita ad azioni o attività organizzative orientate a integrare i servizi di assistenza ai pazienti in un unico processo coordinato tra persone, funzioni e unità operative nel tempo Relativa al flusso di azioni orientate all’erogazione dell’assistenza Oltre agli aspetti classici, riferibili a caratteristiche organizzative, funzionali e di processo, Singer aggiunge quelli “normativi” e interpersonali, determinanti – in un sistema brain intensive come quello sanitario – per l’efficacia della cura del paziente. Considerare anche le caratteristiche sociali del processo di integrazione è infatti fondamentale, in quanto nell’integrazione avviene il confronto fra i professionisti e la [continua ..]
Dall’introduzione del modello Beveridge fino all’aziendalizzazione, il National Health Service (NHS) inglese ha sempre influenzato le scelte di politica sanitaria in Italia, anche in base alla simile evoluzione socio-demografica della popolazione e dei suoi bisogni di salute. Vale dunque la pena soffermarsi brevemente sulle evidenze emerse dalle numerose revisioni di letteratura sul fenomeno delle integrazioni avvenute negli ultimi vent’anni nel Regno Unito. Pietre miliari sul tema delle integrazioni nel NHS sono i report del King’s Fund e del Nuffield Trust, che confermano che le ondate di fusioni avvenute dal 1990 fino ai primi anni duemila sono state effettuate per motivi economici (tipicamente la possibilità di conseguire economie di scala), cui si aggiungono obiettivi di miglioramento degli esiti in seguito alla concentrazione dei volumi. Facendo una breve rassegna dei principali report emerge un quadro chiaro delle criticità emerse dalle operazioni di fusione avvenute nel NHS e dei fattori di cui tenere conto nell’intraprendere un percorso di integrazione: i report confermano che le uniche riduzione di costi sono associate a chiusure di ospedali, riduzione del numero di posti letto e condivisione delle funzioni di back office, mentre il miglioramento degli esiti a seguito di concentrazione dei volumi si ha solo in alcune discipline (es: cardiovascolare). Vi sono quindi dei limiti alle economie di scala possibili, mentre sono evidenti gli svantaggi derivanti dalla creazione di organizzazioni troppo grandi e complesse (gigantismo): mancanza di focus strategico, mancata riorganizzazione dei processi di core business e delle loro interdipendenze, processo decisionale sempre più burocratizzato. La letteratura suggerisce quindi l’individuazione di approcci alternativi alla fusione: nel 2014 Sir David Dalton viene incaricato quindi dal NHS di condurre una revisione [4] che porti all’individuazione di diverse forme organizzative, alternative alla fusione, in relazione al contesto locale. Il titolo del primo capitolo è già indicativo dell’impostazione del documento: «Organisational Forms – One size does not fit all», ovvero non esiste una “taglia unica” per tutte le organizzazioni se si vuole offrire la migliore accessibilità e le migliori cure in un sistema sostenibile. Suggerisce quindi sette diverse forme organizzative (che [continua ..]
Anche in Italia le motivazioni inizialmente più diffuse di tale fenomeno possono essere ricercate nelle aspettative di risparmio e di maggiore efficienza: le integrazioni hanno costituito la risposta organizzativa al blocco del turnover che ha caratterizzato gli ultimi anni del SSN, e alle indicazioni normative sulla riduzione dei posti letto e delle strutture complesse (d.l. n. 95/2012, c.d. “spending review” [6] e d.m. n. 70/2015 [7]). A tali motivazioni si affianca quello della clinical competence, fatto proprio dal d.m. 70/2015, per cui la concentrazione della casistica relativa ad alcune specialità in Centri Hub è motivata dalla necessità di garantire maggiori volumi, correlati a migliori esiti in termini di qualità e sicurezza delle cure. Per rispondere alla necessità di ridurre i costi dell’assistenza ospedaliera da un lato, e migliorare la qualità dei servizi dall’altro, il d.m. n. 70/2015 ha infatti promosso l’organizzazione a Rete, stabilendo che le regioni dovessero «assicurare forme di centralizzazione di livello sovra-aziendale per alcune attività caratterizzate da economia di scala e da diretto rapporto volumi/qualità dei servizi, […]; articolare la rete ospedaliera prevedendo reti per patologia […]; adottare il modello denominato hub & spoke, previsto espressamente per le reti per le quali risulta più appropriato, ovvero altre forme di coordinamento e di integrazione professionale su base non gerarchica». Questa indicazione ha determinato, di fatto, una spinta verso l’aggregazione delle strutture ospedaliere, che concentrandosi divengono di grandi dimensioni, focalizzate sull’alta specialità e in grado di garantire volumi e qualità delle prestazioni di alto livello assistenziale. Il riordino della rete ospedaliera, in un SSN fatto di tanti SSR, è avvenuto però in modo diverso a seconda delle Regioni, che – esercitando il ruolo di “capogruppo” delle Aziende Sanitarie –, hanno ridefinito in modo autonomo l’articolazione territoriale delle ASL e ridisegnato i confini anche delle Aziende Ospedaliere e Ospedaliero-Universitarie. Le prime ondate di fusioni hanno interessato intere Aziende USL (passate da 228 nel 2005 a 120 nel 2017), divenute sempre più grandi fino a coprire il territorio provinciale [8] ed una popolazione [continua ..]
La Lombardia è stata la prima regione a realizzare nel 2009 l’integrazione delle funzioni di Emergenza, istituendo l’Azienda Regionale dell’Emergenza-Urgenza (AREU), che gestisce il Soccorso su tutto il territorio regionale integrandosi con tutte le strutture produttive. Tale integrazione è stata poi ripresa, negli anni recenti, da diverse regioni, che hanno concentrato il sistema di Emergenza e Urgenza a livello regionale. Più di recente il SSR lombardo è stato di nuovo protagonista di una riforma, attuata con la l.r. n. 23/2015, che ha visto la completa separazione delle funzioni di: – programmazione, assegnate alla Regione e alle Aziende di Tutela della Salute (ATS), istituite con il compito di pianificazione sanitaria, committenza e monitoraggio del servizio fornito dagli erogatori di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie; – erogazione delle prestazioni, attribuite alle Aziende Socio-Sanitarie Territoriali (ASST) che integrano servizi ospedalieri e territoriali, agli IRCCS e agli erogatori privati accreditati; – di controllo, attribuite all’Agenzia di Controllo del Sistema Sociosanitario lombardo, con funzioni di monitoraggio delle performance. Una delle critiche che è stata mossa a questa riforma, che nasceva con l’intento dichiarato di una presa in carico del paziente sul territorio, riguarda proprio la non completa attuazione di questo processo, che avrebbe dovuto spostare il perno del sistema – e quindi le risorse – fuori dai grandi ospedali del SSR Lombardo.
Con la l.r. 25 ottobre 2016, n. 19 [12] il Veneto ha effettuato una completa riforma del proprio SSR, unificando le 21 ULSS (diventate nove), individuando Reti e Centri di riferimento sviluppati secondo il modello hub & spoke, e introducendo una vera e propria innovazione, con la creazione dell’Azienda Zero. L’innovazione sta nella centralizzazione in capo ad un solo soggetto delle funzioni di programmazione e di governance del SSR e di gestione dei processi tecnico-amministrativi. In questo modo viene demandata alle ULSS solo l’organizzazione dell’assistenza. La costituzione dell’Azienda Zero, garantendo il governo unitario della programmazione, favorisce risparmi di spesa, determinati dalla centralizzazione degli acquisti. Tali risparmi vengono re-investiti in modalità di erogazione dell’assistenza alternative (Medicine di Gruppo Integrate, Ospedali di Comunità, Hospice e Unità Riabilitative Territoriali), per valorizzare l’integrazione fra ospedale e territorio. Questa riforma è stata guardata con molta attenzione da tutte le altre Regioni, che si apprestavano a ridisegnare il proprio Sistema. La centralizzazione delle funzioni di governo attua in concreto il modello di holding: l’unico Ente regionale detiene le leve per orientare tutte le Aziende Sanitarie, territoriali e non, al raggiungimento di obiettivi comuni. Il passaggio da un modello competitivo (quello ipotizzato dal d.lgs. n. 502/1992) ad un modello cooperativo avviene in questo modo con maggiore facilità rispetto a realtà in cui è ancora forte l’autonomia delle singole realtà territoriali.
L’integrazione orizzontale dei processi amministrativi era già avvenuta in Toscana con la creazione delle centrali di Area Vasta (ESTAV), sostituite poi nel 2014 dall’ESTAR (Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale) [13], istituito con l’obiettivo di ottimizzare la spesa regionale destinata ai beni sanitari, pur mantenendo elevati standard di qualità nell’erogazione delle prestazioni. L’ESTAR – dotato di personalità giuridica pubblica, di autonomia amministrativa, organizzativa, contabile, gestionale e tecnica –, si fa carico per l’intera regione delle funzioni di approvvigionamento di beni e servizi, gestione logistica e delle reti informative, procedure di selezione del personale. Dopo questa prima integrazione orizzontale di funzioni, la Toscana ha riformato il proprio Sistema Sanitario nel 2015, con la finalità di «promuovere il miglioramento della qualità dei servizi e nel contempo assicurare la sostenibilità e il carattere pubblico e universale del sistema sanitario, a fronte del mutato quadro epidemiologico, dei costi crescenti e dei processi di diagnosi e cura e della consistente riduzione dei trasferimenti statali» [14]. Con tale riforma la Regione ha fuso le dodici AUSL in tre (corrispondenti alle precedenti Aree Vaste), individuando tre livelli di governo (regionale, aziendale/di area vasta, di zone-distretto integrate). Ha inoltre previsto la creazione di Dipartimenti interaziendali di area vasta, definiti «strumento organizzativo di riferimento per la programmazione coordinata di area vasta», composti dai Dipartimenti interaziendali delle nuove AUSL e delle Aziende Ospedaliero-Universitarie, che la Regione avrebbe voluto fondere con le ASL, operazione resa impossibile dai vincoli normativi [15].
In ultimo, la riforma del Friuli Venezia Giulia, prevista con la l.r. n. 17/2014, l’unica caratterizzata dall’unificazione delle Aziende territoriali con le Aziende Ospedaliero-Universitarie, possibilità che il Friuli ha in quanto regione autonoma. L’integrazione verticale ospedale-territorio e l’integrazione con l’Università anche nell’ambito delle ASL sono infatti i principi cardine che hanno guidato la riforma. La l.r. di Riforma all’art. 4 (Integrazione tra il Servizio Sanitario Regionale e Università) riporta infatti: «All’esito dell’incorporazione, le aziende […] esercitano, in modo unitario, coordinato e inscindibile, sia negli ospedali ad alta specializzazione che nelle attività distrettuali, dipartimentali e territoriali, le funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione, nonché quelle di didattica e di ricerca, garantendo in particolare la continuità delle cure. Ciò al fine di migliorare il servizio pubblico di tutela della salute, accrescere la qualità dei processi formativi, sviluppare le conoscenze biomediche e l’innovazione tecnologica, nonché valorizzare in modo paritario, nel rispetto dei rispettivi ruoli e mandati, le funzioni e le attività del personale ospedaliero, del distretto e dell’Università». L’attuazione di tale riforma è avvenuta per gradi: oltre alle due Aziende Sanitarie Universitarie Integrate (ASUI), nel 2015 sono state ridotte a tre le aziende territoriali, denominate Aziende per l’Assistenza Sanitaria (AAS), che corrispondono ai territori delle “aree vaste”. Rimangono come enti sanitari autonomi l’IRCCS CRO di Aviano, che diventa l’hub oncologico della regione, e l’IRCCS Burlo Garofalo. La riforma prevede infatti l’istituzione di Reti e Centri di Riferimento Regionali per specifiche patologie. Anche il Friuli istituisce l’Ente per la Gestione Accentrata dei Servizi condivisi (EGAS, poi diventata ARCS) [16] e, infine, con la l.r. n. 22/2019, conclude la sua riforma orientata alla “piena” integrazione verticale, identificando, quali soggetti del SSR, l’Azienda Regionale (ARCS), una Azienda Sanitaria, due IRCCS e le due nuove Aziende “Sanitarie-Universitarie”.
Di seguito un focus sul contesto normativo che ha accompagnato le creazioni di Reti e collaborazioni tra Aziende e le esperienze di fusione e integrazione avvenute dal 2000 ad oggi.
La Regione Emilia Romagna è stata la prima ad inserire nella propria programmazione le configurazioni a Rete per gli ospedali: il Piano Sanitario Regionale del 1999-2001 promuoveva lo sviluppo del modello hub & spoke, con l’obiettivo di «attuare una riorganizzazione che tenga conto dei volumi e degli esiti per le principali patologie in cui è comprovato che all’aumentare dei volumi le complicanze si riducono». Individua quindi Reti cliniche integrate, che concentrano in poche sedi alta tecnologia e patologie che disseminate avrebbero bassi volumi, che raccordate con gli ospedali periferici perseguono la presa in carico del paziente lungo l’intero percorso di cura. Prosegue il percorso di “aggregazione”, con il Piano Sociale e Sanitario 2008-2010, che ha istituito le “Aree Vaste”, regolamentate con la Delibera regionale 927/2011. Vengono inoltre individuati Centri di Riferimento Regionali (il Centro Regionale Sangue e il Centro Regionale Trapianti), che coordinano tutta la rete regionale e si interfacciano con il livello nazionale. Precursore rispetto ad altre regioni, già dal 2004 l’Emilia Romagna avvia un processo di centralizzazione degli acquisti con l’istituzione della piattaforma IntercentER [17], che ha portato, negli anni, alla omogeneizzazione delle procedure, alla prioritarizzazione degli acquisti a livello regionale attraverso la definizione di un Master Plan, e a risparmi significativi per il Sistema, dovuti al maggiore potere di acquisto della Regione rispetto alle singole Aziende. Le indicazioni regionali sulle integrazioni vengono confermate nel Programma di Mandato 2015-2020 della Giunta Regionale, che individua nuovi “ambiti territoriali ottimali” per le Aziende Sanitarie, puntando sulla innovazione dei modelli organizzativi di governo delle stesse e imponendo una rivisitazione del modello hub & spoke. La D.G.R. n. 2040/2015 di Riorganizzazione della Rete Ospedaliera [18] cita infatti l’obiettivo di «ripuntualizzare le discipline Hub&Spoke già individuate dalla programmazione regionale». Prevede inoltre la riconversione di strutture a bassa intensità di cura (Ospedali di Comunità e Case della Salute), come risultato di una riorganizzazione dei setting assistenziali, orientata a spostare il focus sul territorio piuttosto che sull’ospedale. In coerenza con gli [continua ..]
Per effettuare la rassegna dei processi di integrazione avvenuti in Emilia Romagna da quando questo fenomeno ha interessato anche il nostro Paese, occorre bipartire questo ventennio in una prima fase in cui il modello “emergente” era la fusione tra Aziende (dal 2004 a 2014) e una seconda, in cui il governo regionale ha scelto di non imporre un unico modello di integrazione su tutto il territorio regionale, lasciando autonomia alle Conferenze Territoriali Sociali e Sanitarie (CTSS) nell’individuare la soluzione di integrazione che meglio si adattasse alle diverse realtà. La Regione nella seconda fase ha infatti fatto proprie le più recenti evidenze di letteratura, secondo cui i risultati delle integrazioni sono fortemente legati ai contesti in cui queste avvengono. Ha privilegiato integrazioni verticali orientate al governo dell’intero percorso di cure e – con l’ultimo PSSR – sta promuovendo l’integrazione tra il sistema sanitario e quello sociale (sistemi di cura placed-based). Affrontiamo brevemente quindi le due fusioni avvenute tra Aziende di Bologna e della Romagna, per poi passare alle integrazioni avvenute dal 2015 ad oggi.
Nel 2004 [20] le tre Aziende Bologna Città, Nord e Sud sono confluite nell’attuale AUSL di Bologna, con l’obiettivo di superare le disomogeneità tra i territori, garantire equità di accesso e risanare il deficit attraverso economie di scala e di scopo e riduzione delle duplicazioni (Lega e Prenestini, 2009). Il periodo antecedente alla fusione ha visto gli staff di direzione coinvolti in gruppi di lavoro per l’individuazione di punti di raccordo tra le diverse modalità e procedure in essere, in preparazione della unificazione. Nonostante questo percorso propedeutico, la fusione ha comunque necessitato, dopo la sua formalizzazione con Legge Regionale, di un completo riassetto dei processi organizzativi, durato circa tre anni. Il lavoro dei professionisti delle tre ex Aziende, orientato alla omogeneizzazione dei percorsi dei pazienti e dei processi di lavoro, ha evidenziato complessità gestionali e organizzative rilevanti, che hanno richiesto investimenti importanti ascrivibili ai cosiddetti “costi di transazione” (es: su tecnologie ICT, ...), ed un lungo percorso di riallineamento degli incarichi, da prevedere in ogni operazione di integrazione.
La seconda operazione di fusione è avvenuta tra le aziende USL di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini, che dal 2014 costituiscono l’AUSL Romagna, la più grande della regione e una delle più grandi d’Italia. Come per Bologna, si è trattato di una integrazione orizzontale completa con l’obiettivo di «assicurare e potenziare, in condizioni di qualità, omogeneità ed appropriatezza, i servizi di tutela della salute nell’interesse delle persone e della collettività, e di addivenire a forme di integrazione funzionali e strutturali idonee a garantire misure di razionalizzazione e snellimento amministrativo, nonché il contenimento della spesa pubblica» [21]. Contestualmente, è stato scorporato dall’AUSL Romagna l’IRCCS “Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori”.
Dopo le due esperienze di fusione di AUSL, si osservano processi di integrazione differenziati sui territori provinciali, come di seguito illustrato.
Nel 2015, a Ferrara i Direttori Generali di AUSL e AOU avviano un processo di integrazione che interessa sia l’ambito ospedaliero sia quello tecnico amministrativo. Come prima azione, viene deliberato il Piano di Integrazione strutturale delle funzioni tecnico amministrative e di supporto delle Aziende Sanitarie della Provincia di Ferrara [22], che riduce i Dipartimenti da 5 a 1 e le Strutture Complesse da 26 a 11. Il modello organizzativo assunto per tali funzioni – assegnate all’AUSL di Ferrara quale Azienda Capofila –, vede la «costruzione di un sistema integrato di supporto al sistema decisionale di Direzione». Nel 2016 viene stipulato l’Accordo Quadro [23] che coinvolge anche l’area Clinica: si istituiscono i Dipartimenti Clinici Interaziendali ospedalieri, assegnati alla AOU in qualità di Capofila e identificati quindi come Dipartimenti ad Attività Integrata (DAI). L’Accordo Quadro prevedeva anche l’istituzione di un “team di riferimento” come strumento di governance dell’integrazione tra l’Ospedale e i Dipartimenti Sanità Pubblica, Cure Primarie, Salute Mentale, in ottica di presa in carico del paziente fragile e pluripatologico. Vengono inoltre istituiti «un nuovo organismo di vertice», formato dalle due direzioni strategiche e il “Collegio Strategico Provinciale”, come soluzione innovativa per il governo condiviso della programmazione. Dal Piano di Ferrara emerge quindi una visione di insieme dell’integrazione, che – non potendo attuarsi in maniera istituzionale attraverso l’unificazione delle due Aziende [24] –, ha promosso una strategia di integrazione che parte dal livello di governo strategico, di programmazione e di supporto, fino al livello di integrazione dell’asset produttivo ospedaliero, che avrebbe dovuto trovare infine, nell’istituzione dei team locali, la sede dell’integrazione verticale tra l’ospedale e il territorio (Gentili, Lega, 2020). Per attuare la maggiore integrazione possibile è stato adottato il modello dell’Azienda Capofila, che diventa titolare delle funzioni assegnate dall’altra, attraverso lo strumento della delega. L’assegnazione del personale dall’una all’altra Azienda è avvenuto utilizzando lo strumento dell’«assegnazione temporanea» previsto [continua ..]
In controtendenza rispetto ai recenti processi di integrazione verticale, a Modena si è optato per una integrazione che ha riguardato solo il livello di assistenza ospedaliera, con l’incorporazione del nuovo ospedale di Baggiovara nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria. L’obiettivo era di ridurre le duplicazioni di servizi in ambito cittadino, valorizzando le funzioni hub sui due ospedali e consentendo la condivisione delle piattaforme produttive aziendali e sovraziendali. L’integrazione si avvia con l’autorizzazione della Regione [25] alla sperimentazione gestionale di durata triennale, ex art. 7 della l.r. n. 29/2004. Viene costituita una «cabina di regia quale organismo di indirizzo e verifica con funzione di governance complessiva del progetto», per garantire che le relazioni preesistenti tra l’Ospedale di Baggiovara e il territorio non venissero meno. Si formalizza quindi la necessità di garantire la continuità dei percorsi anche al di fuori dell’ospedale, attraverso la “mobilità delle equipe professionali”, in sostituzione degli spostamenti dei pazienti.
Un’ulteriore operazione di integrazione è avvenuta nel luglio 2017 [26] a Reggio Emilia, con la fusione tra AUSL e Azienda Ospedaliera (non Universitaria), che riporta ad un’unica governance la gestione della Sanità nella Provincia di Reggio Emilia. Tale fusione ha comportato anche il trasferimento della titolarità dell’IRCCS “Istituto in tecnologie avanzate e modelli assistenziali in oncologia”, dalla AO alla AUSL.
A Parma nel 2016 le due Aziende cittadine hanno approvato il progetto di integrazione funzionale di area tecnico amministrativa e di staff [27], esitato nella creazione di Dipartimenti interaziendali che hanno aggregato funzionalmente le strutture afferenti alle diverse Aziende. In area sanitaria vengono istituiti il Dipartimento Interaziendale Emergenza Urgenza e il Dipartimento Farmaceutico. Nessuna altra integrazione strutturale è stata fatta da allora, fino al mandato – assegnato nel luglio 2020 – di avviare un percorso di integrazione tra le due aziende, finalizzato alla futura unificazione (cfr. par. 4.4.).
Le Aziende del territorio della Città Metropolitana (due AUSL, una AOU e un IRCCS) sin dal 2009 hanno attuato progetti di integrazione su tematiche cliniche specifiche [28], che hanno previsto l’utilizzo di piattaforme chirurgiche e di degenza di proprietà di AUSL da parte di AOU e IRCCS Rizzoli, “abbattendo i muri” tra le aziende e attuando la mobilità dei professionisti sulle diverse sedi. Per rispondere agli obiettivi di mandato assegnati nel 2015, che imponevano di integrare le funzioni di supporto e amministrative, le Aziende hanno scelto due modelli differenti: – per i servizi sanitari di supporto, caratterizzati da elevata standardizzazione dei processi, importante dotazione tecnologica e non necessaria prossimità con il luogo di cura del paziente, si è optato per il trasferimento di attività ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 (“Cessione di Ramo”), che prevede il passaggio di tutti i contratti attivi e passivi, le attrezzature, etc. e del personale dall’Azienda cedente all’Azienda cessionaria [29]; – per i Servizi amministrativi si è scelta la forma organizzativa del “Servizio Unico Metropolitano” [30], definito tramite accordo tra le Aziende, di natura temporanea, che utilizza lo strumento giuridico della delega di funzioni e, per la gestione del personale, lo strumento dell’assegnazione temporanea ai sensi dell’art. 22-ter della l.r. n. 43/2001. Quest’ultimo ha due vantaggi: – la condivisione delle competenze specialistiche ritenute “rare” in un momento storico caratterizzato dal blocco del turn-over delle figure amministrative; – la possibilità di standardizzare processi definiti sulla base di vincoli normativi e prassi consolidate, supportati dalla condivisione di software regionali unici per la gestione del Personale e per la gestione Amministrativo-contabile. Nonostante ciò, il modello ha evidenziato già durante la fase sperimentale il suo “tallone d’Achille”: l’impossibilità di costituire un unico fondo contrattuale da cui attingere per costruire percorsi di carriera all’interno del Servizio unificato, e la difficoltà di unificare i sistemi di valutazione del personale ad essi afferente, complicano il passaggio a regime di queste integrazioni. Per le funzioni clinico-assistenziali si [continua ..]
Le integrazioni descritte possono essere classificate in base a diversi elementi: il tipo e l’oggetto di integrazione, lo strumento utilizzato per la gestione del personale e il sistema di governance dell’integrazione di cui ci si è dotati. Nei casi di AUSL di Bologna (nel 2004), AUSL Romagna, Modena, Reggio Emilia e del trasferimento di attività del Laboratorio Unico Metropolitano e Servizio Trasfusionale Unico Metropolitano di Bologna, si è trattato di una integrazione strutturale che ha modificato i confini aziendali. Nel caso di Ferrara, Parma e delle UUOOII e Servizi unificati di Bologna si tratta di integrazioni che non hanno mutato i confini aziendali. In Tabella 2 è rappresentata una sintesi di tale classificazione. Tabella 2. – Classificazione delle integrazioni nelle Aziende Sanitarie della regione Emilia-Romagna Aziende coinvolte Tipo diintegrazione Oggetto/i della integrazione Strumento digestione delpersonale Strutturadi governance AUSL Bologna Città, Sud e Nord →AUSL di Bologna Integrazioni orizzontali complete attraverso fusioni tra Aziende USL L’intera azienda AUSL Trasferimento alla nuova AUSL La Direzione della nuova Azienda AUSL di Forlì, Cesena, Rimini, Ravenna→AUSL Romagna AO di Reggio Emilia + AUSL di Reggio →AUSL di Reggio Emilia Integrazione verticale attraverso Fusione con incorporazione di azienda L’AUSL ingloba l’Azienda Ospedaliera Trasferimento alla nuova AUSL Ospedale di Baggiovara +AOU di Modena Integrazione orizzontale attraverso fusione per incorporazione di parte di altra azienda L’AOU ha inglobato l’Ospedale di Baggiovara (All’AUSL restano gli ospedali periferici) Assegnazione temporanea (art. 22-ter) Organismo di Indirizzo e Verifica AOU e AUSL di Ferrara Integrazione orizzontale tra Dipartimenti dello stesso livello di assistenza (ospedaliera). Integrazione orizzontale tra funzioni amministrative e tecniche All’AOU afferiscono i Dipartimenti Ospedalieri (All’AUSL restano afferenti i Dipartimenti Territoriali). All’AUSL afferisce il Dipartimento Amministrativo e Tecnico, cui afferiscono i servizi amministrativi e tecnici interaziendali Il personale dirigente resta afferente alla propria UO, ma può essere chiamato a svolgere [continua ..]
Dopo un periodo di commissariamento delle Aziende Sanitarie, dovuto alla necessità di gestire l’emergenza COVID-19, nel luglio 2020 sono stati nominati i nuovi Direttori Generali delle Aziende Sanitarie della Regione, cui sono stati assegnati obiettivi di mandato, con un orizzonte temporale di quattro anni. La novità più importante in tema di integrazione riguarda i due territori di Ferrara e Parma, cui è stata data l’indicazione di avviare il percorso verso l’unificazione della Azienda USL con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria. L’obiettivo di garantire la più ampia ed omogenea accessibilità ai servizi a tutti i cittadini, e la presa in carico globale dei pazienti in un continuum di cure, che non trovi ostacoli dovuti alla presenza di “confini” istituzionali o organizzativi tra le Aziende è quindi tuttora prioritario e si è reso ancora più evidente nella gestione della recente emergenza sanitaria.
I processi di integrazione/unificazione tra aziende sanitarie, realizzati per una maggiore razionalizzazione ed efficienza dei servizi sanitari ed amministrativi, hanno seguito modelli diversificati, in ragione della ampiezza territoriale del fenomeno, della tipologia di servizi destinati alla gestione unificata, del grado di integrazione funzionale prescelto, degli spazi istituzionali concessi. In taluni casi già osservati in precedenza nell’ambito di questo studio (esperienze della Romagna, di Reggio Emilia e di Modena) tali processi sono stati realizzati sulla base di atti normativi di rango legislativo regionale, ovvero sub forma di sperimentazioni gestionali ai sensi dell’art. 9-bis, d.lgs. n. 502/1992. Il tema della afferenza e gestione del personale nell’ambito dei percorsi di integrazione costituisce allo stesso tempo snodo decisivo e fattore di criticità nell’ambito di strategie che abbisognano di alta flessibilità nella gestione delle risorse, sia dal punto di vista delle assegnazioni funzionali e territoriali, che sotto il profilo della pianificazione e direzione; non dimenticando, naturalmente, l’impatto economico derivato dalle modalità di trattamento sulla base dei fondi aziendali destinati alle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali per il personale di comparto e di area dirigenziale. In particolare, laddove si è manifestata a livello istituzionale (o sindacale) l’opportunità di percorrere modelli che abbiano quale riferimento una modalità di gestione comune delle attività e dei servizi, la quale tuttavia mantenga, anche solo provvisoriamente, la pluralità dei soggetti istituzionali (e datoriali) coinvolti, e quindi la titolarità formale delle attività/funzioni in capo alle Aziende interessate, le soluzioni hanno dovuto confrontarsi con vincoli ordinamentali di non poco momento, probabilmente tali da compromettere l’efficacia dei percorsi di integrazione sperimentati. Anche laddove è risultato possibile assegnare funzionalmente il personale alla gestione svolta da altra Azienda individuata quale datore, il permanente incardinamento dei professionisti presso le Aziende originarie determina curve di inefficienza, specie sotto il profilo della valutazione, dei trattamenti economici accessori, della sicurezza sul lavoro, dei circuiti di responsabilità. Ed in effetti, sotto tale profilo [continua ..]
Per i motivi appena esposti, le esperienze di integrazione che hanno inteso prescindere da una effettiva unificazione delle attività, hanno mantenuto un ancoraggio con discipline di legge regionale, approntate per favorire fenomeni analoghi di integrazione di servizi per lo svolgimento di attività di interesse comune fra amministrazioni. Le discipline di legge regionale, quando si tratta di rapporti fra pubbliche amministrazioni, offrono infatti ulteriori modelli e soluzioni praticabili rispetto alla cessione di attività, purché ci si muova, appunto, nella dimensione della temporaneità della «esternalizzazione», senza definitiva cessione della titolarità dei servizi, quindi del tutto al di fuori della fattispecie regolata, come si dirà, dall’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001. Per quanto ad esempio riguarda la Regione Emilia Romagna, la norma di riferimento è attualmente individuata nell’art. 22-ter della l.r. 26 novembre 2001, n. 43 («Testo unico in materia di rapporti di lavoro nella Regione Emilia Romagna»), introdotto dall’art. 5 della l.r. 20 dicembre 2013, n. 26 [34]. Il c. 4 dell’art. 22-ter, con riguardo alla gestione del personale nelle ipotesi di «trasferimento o delega di funzioni da o a enti del Sistema delle amministrazioni regionali a o da altri enti e nei casi di collaborazioni non onerose fra enti del Sistema delle amministrazioni regionali, per la gestione stabile di attività di comune interesse», individua, dal punto di vista soggettivo ed oggettivo, i presupposti delle assegnazioni temporanee di contingenti di personale che, a tali condizioni, svolgono presso l’ente delegato le funzioni a questo delegate da parte di altro(i) ente(i). L’ipotesi di delocalizzazione dei dipendenti verso amministrazioni diverse da quelle di appartenenza incontra cioè presupposti di legge regionale che, da un lato, circoscrivono la fattispecie in base alla quale l’assegnazione può essere disposta, dall’altro rendono del tutto legittimo il relativo atto di gestione del personale da parte degli enti coinvolti. Benché la norma non sia stata formulata con preciso riferimento all’integrazione dei sevizi sanitari, il riferimento alla «gestione stabile di attività di comune interesse» si è potuta adattare alle esperienze di gestione integrata da parte delle [continua ..]
Sotto il profilo lavoristico, l’ipotesi di più solida tenuta verso la soluzione di effettiva integrazione dei servizi è quella delineata dalla cessione di rami di attività – quelle strategicamente individuate come ad Alta standardizzazione tecnologica e non necessaria prossimità con il paziente e quindi destinate ad un governo unitario più penetrante da parte delle Aziende interessate – verso altro soggetto giuridico, che può ben essere individuato, anzitutto e secondo una prima declinazione, in capo ad una delle Aziende partecipanti all’integrazione. In questi casi, infatti, si realizza piena coincidenza tra titolarità formale e sostanziale del servizio e titolarità dei rapporti di lavoro, con la più ampia flessibilità di gestione e governo del personale data appunto dalla identificazione di un unico centro di imputazione di poteri e responsabilità. La fattispecie così delineata identifica e realizza un’ipotesi certa di trasferimento di attività tra amministrazioni: si tratta infatti di attività/servizi svolti da amministrazioni pubbliche (le aziende interessate all’integrazione) che vengono trasferite ad altra amministrazione pubblica (l’Azienda prescelta per l’imputazione dei servizi), la quale assume la titolarità integrale delle attività che appunto confluiscono nelle strutture integrate. L’ipotesi trova come noto una disciplina di carattere generale nella disposizione dell’art. 31 del d.lgs. 31 marzo 2001, n. 165, norma di notevolissima ampiezza applicativa, destinata a regolare, almeno in linea tendenziale, tutte le situazioni nelle quali appunto si realizzi il passaggio di una attività da un soggetto pubblico ad un altro, pubblico o privato che sia, con sostanziale mutamento nella titolarità dell’attività prima svolta da parte dell’amministrazione cedente. La norma, come noto, trova applicazione in assenza di un diverso regime dotato di specialità, il quale potrebbe essere rinvenuto, oltre che in norme di legge nazionale e regionale, anche in previsioni provvedimentali o convenzionali, sempre che tali previsioni non si collochino ad un livello di garanzia inferiore rispetto a quello riconosciuto dall’art. 31, operato con il rinvio alla disciplina privatistica del trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. Pare dunque [continua ..]
Naturalmente, quanto sopra indicato per la cessione di rami di attività/servizi ex art. 31, d.lgs. n. 165/2001, ha da valere anche nella prospettiva della creazione di un nuovo soggetto giuridico, costituito da porzioni di attività cedute da parte di Aziende partecipanti, per il quale appare senz’altro necessario intervento normativo da svilupparsi in ambito regionale. In tale prospettiva si avrebbe la costituzione di una nuova Azienda, cui è demandata unicamente la direzione e gestione delle attività/servizi ceduti dalle aziende partecipate; attività e servizi di cui la nuova azienda assume, ancora una volta, titolarità formale e sostanziale. Di nuovo, insieme al passaggio dell’attività ceduta da parte delle Aziende cedenti, si avrebbe il passaggio alla nuova Azienda del personale già addetto alle Unità Operative (o porzioni di U.O.) cedute, sì come selezionate sulla base delle esigenze di integrazione e quindi anche sulla base di processo graduale di trasferimento: si determina così la piena assunzione della titolarità dei rapporti di lavoro e dei relativi poteri di gestione da parte del nuovo soggetto giuridico, nei termini già indicati. Di nuovo, l’Azienda neo-costituita opera tramite macro Dipartimenti per servizi assistenziali (probabilmente di più Alta Complessità) che utilizzano le Unità Operative (o porzioni di U.O.) trasferite dalle Aziende cedenti quali sedi operative delle attività dei Dipartimenti di Alta Complessità dislocate nelle diverse sedi aziendali e comunque con piena mobilità del personale tra le stesse, del caso filtrata da accordo sindacale. La costituzione di un nuovo soggetto giuridico permette di indirizzare da subito l’assemblaggio e l’attività dei nuovi Dipartimenti, senza possibili contaminazioni date da strutture esistenti (dipartimentali e U.O.) come invece avviene per il modello della cessione di attività ad Azienda esistente. La gestione del personale, sotto il profilo economico e normativo nonché dell’attribuzione di incarichi appare più lineare: si costituirebbe nuovo fondo per la contrattazione, con nuovo sistema di pesatura degli incarichi e delle strutture; la valutazione del personale e delle strutture seguirebbe percorso specifico conformato alla particolare caratterizzazione dell’Azienda e [continua ..]
In diversa prospettiva, ed a geometria istituzionale che potrebbe restare sostanzialmente invariata (quindi senza la necessaria previsione di costituzione di nuovi soggetti giuridici), è possibile immaginare forme più dense e significative di coinvolgimento dei lavoratori in forza alle Aziende sanitarie, rispetto ad attività destinate a forme di collaborazione sovra-aziendale. Si tratterebbe di stabilire, tramite necessario intervento legislativo regionale, che tra le Aziende che insistono sulla stessa area territoriale esiste un interesse di rete assimilabile a quello previsto e regolato per il settore privato tramite il d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009, n. 33. La norma, come noto, destinata esclusivamente ai datori di lavoro costituiti in forma di imprese ed alle imprese agricole, prevede la possibilità di realizzare “contratti di rete”, i quali permettono a più imprenditori di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, obbligandosi a collaborare, scambiandosi informazioni o esercitando in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Può aversi così una rete di imprese, ogniqualvolta un contratto plurilaterale di cooperazione interaziendale, comunque qualificato secondo il diritto comune (consorzio senza attività esterna, associazione temporanea di imprese, contratti di scambio, appalti, somministrazioni, ecc.), presenti i requisiti di contenuto e di forma previsti dall’art. 3, comma 4-ter del d.l. n. 5/2009. L’autonomia privata nella determinazione della causa del singolo negozio incontra, perciò, esclusivamente i limiti imposti dalla norma, e quelli derivanti dall’accordo tra le parti circa: l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti; le modalità concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi; la definizione di un programma di rete che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comune; qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune (nell’ipotesi della c.d. “rete-soggetto”, costituita da un contratto con [continua ..]
L’assenza di ostacoli tra i diversi livelli di assistenza (ospedaliera e territoriale), la centralità delle cure intermedie e l’unitarietà della governance sono elementi essenziali del successo della gestione dei percorsi di cura. Le relazioni che si instaurano tra le aziende sono ovviamente più o meno intense a seconda degli obiettivi e del contesto. È necessario quindi scegliere quale tipo di integrazione è più adatta allo scopo che ci si prefigge. Le evidenze dimostrano che, invece di procedere ad una fusione orizzontale nell’ambito dello stesso livello di assistenza (es: tra ospedali), è meglio privilegiare l’integrazione verticale tra i diversi livelli di assistenza. In caso non sia possibile procedere ad una unificazione tra aziende, come nel caso di AUSL con AOU, occorre promuovere una strategia di “sovranità condivisa” per l’attribuzione di risorse orientate ad obiettivi comuni e la verifica dei risultati in itinere. Per tornare al tema dell’ampiezza dei confini, uno degli elementi da considerare è il livello dimensionale della integrazione: dimensioni “ottimali” permettono di condividere le buone prassi e le tecnologie, senza generare diseconomie organizzative che sono generate dal “gigantismo”. Il punto di equilibrio andrà ricercato tenendo insieme, ad esempio, i soggetti che condividono tecnologie ad alto costo o che condividono gli stessi obiettivi istituzionali. Nella scelta su quali servizi concentrare e quali invece lasciare decentrati, si identificano generalmente tre macro-tipologie di servizi per cui è opportuno individuare diversi livelli di integrazione: – servizi sanitari a domanda individuale, che necessitano del massimo decentramento/prossimità con il paziente; – servizi a domanda collettiva (es: prevenzione), che possono essere modulati per ampiezza e latitudine elevata; – servizi di supporto (es: laboratorio, officina trasfusionale, …), che sono concentrabili senza che il cittadino ne accusi un problema (Carradori, 2018). Per garantire la sostenibilità di questo nuovo Sistema, occorrerà ripensare le funzioni della tecnostruttura e dei primi livelli Dirigenziali (Direttori di Dipartimenti Interaziendali e Direttori di Distretto), che assumono un ruolo di tensore dell’organizzazione, indispensabile per governare le [continua ..]
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, 2017, «Linee di indirizzo per la riorganizzazione della rete ospedaliera ferrarese» approvate dalla CTSS di Ferrara il 31 gennaio 2017. Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, Delibera n. 155/2017, correzioni errori materiali contenuti nel provvedimento n. 129/2017 relativi all’«Accordo Quadro per lo svolgimento delle funzioni provinciali unificate dei servizi sanitari, amministrativi, tecnici e professionali». Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, Delibera n. 161/2015 «Piano di Integrazione strutturale delle funzioni tecnico-amministrative e di supporto delle Aziende Sanitarie della provincia di Ferrara». Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, Delibera n. 177/2017 «Approvazione della Composizione dei Dipartimenti Interaziendali ad Attività Integrata (DAI) di Ferrara e del relativo Regolamento di funzionamento, ai sensi dell’Accordo Quadro». Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, Delibera n. 179/2017 «Approvazione della Convenzione per la gestione comune dell’attività di assistenza ospedaliera attraverso i Dipartimenti Interaziendali ad Attività Integrata (DAI)». Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Delibera n. 369/2016, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara «Istituzione del Dipartimento Interaziendale a valenza funzionale del sistema di “Programmazione, Valutazione e Controllo” tra l’Azienda USL di Parma e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma in attuazione del processo di integrazione delle funzioni di area tecnico-amministrativa e di staff articolazione organizzativa – approvazione della specifica convenzione attuativa». Azienda USL di Ferrara, Delibera n. 163/2015, «Piano di Integrazione strutturale delle funzioni tecnico-amministrative e di supporto delle Aziende Sanitarie della provincia di Ferrara». Basenghi, La mobilità del dipendente pubblico, in Perulli-Fiorillo (a cura di), Il nuovo diritto del lavoro. Vol. I. Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Torino, 2013, 449. Borgogelli, Modelli organizzativi e tutele dei lavoratori nei servizi di interesse pubblico, in Atti delle Giornate di Studio Aidlass 18-19 maggio 2017, Milano, 2018, 378. Casale, Le esternalizzazioni nelle pubbliche amministrazioni fra trasferimento di funzioni e gestione delle [continua ..]