1. Introduzione - 2. La natura collegiale della RSU nelle fonti - 3. La natura collegiale della RSU nellelaborazione giurisprudenziale e negli orientamenti dell'ARAN - 4. La sentenza delle Sezioni Unite nell'impiego privato - 5. La risposta della giurisprudenza nel pubblico impiego - 6. Il CCNQ del 4 dicembre 2017 - 7. Conclusioni - NOTE
Una delle questioni più dibattute in tema di rappresentanze sindacali unitarie riguarda la loro natura giuridica: se si trattino di un organismo collegiale o costituiscano la sommatoria delle loro singole componenti, e, conseguentemente, se i diritti sindacali a loro spettanti vadano esercitati collegialmente o se sussista la titolarità dei diritti sindacali in capo alle singole componenti della RSU. Il banco di prova nell’elaborazione giurisprudenziale è rappresentato dal diritto di assemblea: è sulla titolarità del potere di indire l’assemblea, infatti, che si scontrano principalmente le diverse interpretazioni. Nel settore dell’impiego privato a mettere un punto fermo – o, forse, è meglio dire un punto e virgola [1] – nell’interpretazione delle fonti contrattuali che regolano la RSU è stata una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione [2], la quale se da un lato afferma (implicitamente) la natura collegiale della RSU, dall’altro riconosce in ogni caso la titolarità di parte dei diritti sindacali alle singole componenti della RSU. Anche nel pubblico impiego la natura della RSU era piuttosto controversa e non sono mancati tentativi giurisprudenziali o dottrinali di affermare la titolarità dei diritti sindacali in capo alle singole componenti della RSU. A risolvere il contrasto interpretativo in favore della collegialità della RSU era intervenuta nel 2005 una sentenza della Corte di Cassazione [3], orientamento, di recente, confermato dalla sentenza n. 3095/2018 della stessa Suprema Corte [4]. Nel frattempo, sia il nuovo CCNQ del 4 dicembre 2017 sulle modalità di utilizzo dei diritti sindacali [5], sia i rinnovi della contrattazione collettiva di comparto hanno confermato in modo esplicito la natura necessariamente collegiale della RSU.
Come è noto, è stato l’art. 47, D.Lgs. n. 29/1993, come sostituito dal D.Lgs. n. 396/1997 [6] ad aver previsto la costituzione di un “organismo di rappresentanza unitaria del personale” su base elettiva e a suffragio universale, delegando alla contrattazione collettiva la regolamentazione dell’elezione e del funzionamento di tali organismi sulla base di criteri e principi fissati dalla norma stessa. Già dall’analisi della fonte legislativa istitutiva degli “organismi di rappresentanza unitaria del personale” emergono elementi favorevoli a una ricostruzione collegiale della rappresentanza unitaria del personale. In tal senso depone sia la scelta di qualificare l’organismo come forma di rappresentanza unitaria del personale, sia l’assegnazione in via esclusiva alla rappresentanza unitaria del personale, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, dell’esercizio dei diritti di informazione e partecipazione riconosciuti alle RSA, in cui il riferimento in modo esclusivo alla RSU, contrapposto al plurale delle RSA, sembra escludere la titolarità in capo alle singole componenti [7]. Peraltro, in questa direzione andrebbe letta anche la scelta compiuta dal legislatore per l’elezione con metodo proporzionale, la quale sembrerebbe conferire alle componenti non l’interezza dei poteri della RSU, ma solo una loro porzione [8]. Formulazione ambigua è, invece, quella del comma 6 dell’art. 42, laddove equipara i componenti della rappresentanza unitaria del personale ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della legge n. 300 del 1970, rinviando alla contrattazione collettiva per l’individuazione dei criteri e delle modalità di trasferimento delle garanzie spettanti alle RSA ai componenti eletti della RSU, la quale sembra, invece, riconoscere la titolarità dei diritti di organizzazione anche alle singole componenti della RSU [9]. A dare attuazione al testo legislativo sono intervenuti l’Accordo Collettivo Quadro del 7 agosto 1998 [10] e il Contratto Collettivo Nazionale Quadro del 7 agosto 1998 [11]. Con l’Accordo le parti sociali hanno fornito indicazioni più chiare circa la collegialità della RSU. In primo luogo, l’art. 5 nel disporre l’equiparazione tra RSA e RSU non menziona più i singoli componenti [continua ..]
La giurisprudenza di merito maggioritaria, con riguardo al pubblico impiego, ha fin da subito considerato la RSU alla stregua di un organismo risultante dalla sommatoria delle sue componenti, riconoscendo il potere di queste ultime di indire singolarmente l’assemblea, nonostante le chiare indicazioni desumibili dalla contrattazione collettiva [18]. I giudici sono giunti a questa conclusione valorizzando il combinato disposto degli artt. 2 e 10 del CCNQ, che, come visto, sembra riconoscere la titolarità del potere di indire l’assemblea anche alle singole componenti RSU [19]. Né può desumersi diversamente dal riferimento all’art. 8, comma 1 dell’ACQ, in quanto esso «disciplina unicamente l’attività delle r.s.u., non già l’esercizio delle prerogative sindacali dei suoi componenti». Si tratterebbe, d’altra parte, di un’interpretazione volta a tutelare i componenti di minoranza della RSU che, altrimenti, «potrebbero non ottenere mai l’avallo delle proprie iniziative sindacali o potrebbero vedere limitate le stesse» [20]. Ma non sono mancate sentenze di segno opposto, che, cioè, hanno riconosciuto il carattere collegiale della RSU, conferendo la titolarità del potere di indire l’assemblea alla RSU e non alle sue singole componenti. L’art. 42, D.Lgs. 165/2001, infatti, equipara le componenti della RSU alle RSA sotto il profilo delle garanzie riconosciute a queste ultime e non dei poteri, per cui sembra chiaro che il legislatore abbia voluto far riferimento solo alle c.d. guarentigie individuali per i dirigenti sindacali. Del resto, la RSU, rispetto alla RSA, svolge un ruolo diverso, ossia quello di “interfaccia unitario rispetto alla controparte”. Ciò lo si desume, non solo dal diverso meccanismo di composizione, ma anche dal fatto che la prima assume le proprie decisioni sulla base del principio di maggioranza: “il che vuol dire che ogni attività sindacale dell’organismo deve essere manifestata all’esterno – nei confronti del suo interlocutore naturale – secondo il criterio della rappresentatività a maggioranza”, con esclusione di iniziative di natura singola [21]. Argomentazioni condivise anche dall’ARAN, la quale a più riprese ha confermato la natura necessariamente collegiale della RSU, riservando la [continua ..]
C’è un sottile fil rouge che collega la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulla RSU nell’impiego privato con il tema della natura della RSU nel pubblico. Infatti, se è indubbio che la sentenza 13978/2017 sia esclusivamente riferita all’impiego privato, come lascia intendere la stessa Corte di Cassazione [26], cionondimeno, i risultati interpretativi cui perviene risultano interessanti anche nella riflessione sulla natura giuridica della RSU nel pubblico impiego. Le Sezioni Unite riconoscono il diritto di indire l’assemblea per 3 delle 10 ore annue anche alle singole componenti della RSU, pur affermando il carattere collegiale di quest’ultima, ritenendo che «ben possono un organismo elettivo come la r.s.u. e il principio di maggioranza convivere con limitate prerogative di singole componenti dell’organismo medesimo […]. Il principio di maggioranza è sicuramente proprio di quello democratico nel momento decisionale, ma è estraneo al momento del mero esercizio di diritti che non importano decisioni vincolanti nei confronti di altri» [27]. Tale argomentazione troverebbe conforto nel fatto che mentre il referendum, che sostanzialmente consiste in un momento decisionale, può essere indetto da tutte le rappresentanze sindacali aziendali, l’assemblea, che presuppone invece «il conflitto dialettico (o confronto) degli interessi e delle idee», può essere indetta singolarmente o congiuntamente dalle rappresentanze sindacali aziendali. Cosicché, «è proprio l’insistito richiamo […] al principio di maggioranza o di democrazia sindacale maggioritaria a dimostrare, invece, che là dove si parli di (mere) assemblee, vale a dire di momenti di confronto che precedono e preparano quelli decisionali propriamente detti, la tutela delle voci singole (ed eventualmente dissenzienti) è irrinunciabile» [28]. Quindi, in sostanza, secondo la Corte, la RSU agisce secondo il principio di maggioranza solo nella fase decisionale della sua attività, al fine di comporre i diversi interessi delle singole componenti, non quando esercita diritti sindacali, in cui questa esigenza di componimento non sussiste, potendo le singole componenti esserne titolari senza alcun pregiudizio per la collegialità dell’organismo stesso. Simili [continua ..]
Con due pronunce rese in data 8 e 9 febbraio 2018 la Corte di Cassazione [32] e il Tribunale di Bologna [33] hanno arrestato sul nascere qualsiasi tentativo di riaprire il dibattito, oramai sopito, sulla natura collegiale della RSU nel pubblico impiego, alla luce dei principi di diritto espressi dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite appena illustrata. In entrambi i casi i componenti della RSU facenti capo a delle organizzazioni sindacali operanti nel comparto sanità avevano chiesto l’autorizzazione a svolgere un’assemblea indetta ai sensi dell’art. 20 Stat. Lav. Nella vicenda posta all’attenzione del Tribunale di Bologna, inoltre, la componente della RSU dei Cobas, la quale come organizzazione sindacale non era rappresentativa, rivendicava il diritto ai locali e il diritto di avere una bacheca al fine di esercitare il diritto di affissione ai sensi del combinato disposto degli articoli 2-5 e 10 del CCNQ del 1998. Ciò sulla scorta, da un lato, secondo la Nursind [34], delle disposizioni dell’accordo interconfederale del 1993, che estendono alle componenti della RSU le prerogative sindacali e i poteri riconosciuti ai dirigenti della RSA, tra cui anche il potere di indire singolarmente l’assemblea; dall’altro, secondo la Cobas [35], in base alla sentenza 13978/2017 delle Sezioni Unite, la quale aveva riconosciuto il diritto di indire l’assemblea anche ai singoli eletti nella RSU. Sia la Corte di Cassazione sia il Tribunale di Bologna hanno rigettato tali interpretazioni, confermando in maniera chiara che le fonti legislative e contrattuali che regolano la rappresentatività e l’esercizio dei diritti e delle prerogative sindacali nel pubblico impiego [36] si pongono in relazione di specialità con le fonti che regolano la stessa materia nel lavoro privato [37]. Ne consegue l’irrilevanza nel pubblico impiego dei principi di diritto espressi dalla sentenza 13978/2017 delle Sezioni Unite. La Corte di Cassazione ha confermato, quindi, il proprio precedente orientamento [38], affermando che «l’esegesi delle disposizioni contrattuali […] non consente di pervenire a conclusioni difformi», per cui laddove l’art. 2 del CCNQ del 1998 attribuisce il potere di indire l’assemblea “singolarmente e congiuntamente”, non [continua ..]
L’interpretazione sistematica delle fonti legislative e contrattuali in materia di RSU nel pubblico impiego, formulata dalla giurisprudenza appena richiamata, trova una conferma nel nuovo Contratto Collettivo Nazionale Quadro del 4 dicembre 2017 [43], il quale risolve i dubbi interpretativi lasciati aperti dal CCNQ del 07 agosto 1998 [44] circa la titolarità dei diritti sindacali. Infatti, l’art. 4 del nuovo CCNQ prevede che le assemblee possono essere indette non solo dalla RSU unitariamente intesa, ma anche singolarmente o congiuntamente dai dirigenti sindacali indicati nell’art. 3, comma 1, lettere da b) a e), rinvio che esclude espressamente i singoli componenti della RSU, i quali sono sì dirigenti sindacali, ma ai sensi della lett. a) non menzionata. Stesso duplice meccanismo è previsto dall’art. 5 con riferimento al diritto di affissione, il quale riserva la titolarità di tale diritto alla RSU e ai dirigenti sindacali di cui all’art. 3, comma 1, lett. da b) a d), escludendo nuovamente i singoli componenti della RSU. Per quanto riguarda i locali, l’art. 6 stabilisce, invece, che le amministrazioni con più di duecento dipendenti mette permanentemente e gratuitamente a disposizione dei dirigenti di cui all’art. 3, comma 1 lett. da a) a e), «l’uso continuativo di un idoneo locale comune – organizzato con modalità concordate con i medesimi – per consentire l’esercizio delle loro attività», mentre nelle amministrazioni con meno di duecento dipendenti gli stessi soggetti hanno diritto di usufruire di un locale idoneo per le riunioni, facendone richiesta all’amministrazione. In questo caso, interpretando letteralmente l’articolo, l’amministrazione deve mettere a disposizione dei dirigenti sindacali – tra cui, stavolta, anche il singolo componente della RSU – un unico locale comune, che andrà gestito con modalità concordate con i medesimi, prevedendo per esempio un sistema di prenotazione della sala che garantisca a tutti i dirigenti sindacali indicati dalla norma il godimento temporaneamente esclusivo del locale. Ai sensi dell’art. 40, comma 2, è bene precisare che “gli articoli da 4 a 6 (4 – Diritto di assemblea – 5 – Diritto di affissione – 6 – Locali) costituiscono linee di indirizzo per i [continua ..]
Alla luce dell’evoluzione illustrata nel presente contributo, è possibile ritenere con certezza, a norma dell’art. 1362 c.c., che le parti stipulanti dell’ACQ del 1998 e del CCNQ del 1998, poi sostituito dal CCNQ del 2017, hanno configurato la RSU come organismo unitario collegiale che opera sulla base del principio di maggioranza. Pertanto, «la posizione del singolo componente rileva solo all’interno della stessa, ma non all’esterno ove la RSU opera, appunto, come soggetto unitario» [46]. Ciò ha un diretto rilievo sulla titolarità dei diritti sindacali, in quanto, come confermato dal nuovo CCNQ del 4 dicembre 2017, il potere di indire l’assemblea e il diritto di affissione spettano unicamente alla RSU e non alle sue singole componenti. L’unico diritto per l’agibilità sindacale riconosciuto alla singola componente della RSU è il diritto a un locale per svolgere le riunioni, il quale, essendo unico e comune, dovrà essere gestito con modalità concordate con gli altri dirigenti sindacali titolari. Da ultimo, tenuto conto dei risulti interpretativi raggiunti nell’ambito del pubblico impiego, appare ancora più inspiegabile il percorso argomentativo della sentenza n. 13978/2017 delle Sezioni Unite. Si dovrebbe, infatti, ritenere che nel pubblico impiego non venga assicurato il pluralismo sindacale e “la tutela delle voci singole (ed eventualmente dissenzienti)” [47], in quanto le assemblee possono essere indette esclusivamente dalla RSU unitariamente intesa.