1. Il quadro legale del lavoro agile nella P.A.: profili di indagine - 2. La tutela della conciliazione e della maggiore efficienza quali valori giuridici sottesi alla disciplina legale - 3. La direttiva n. 3/2017 della P.d.C.M. come trait d'union tra legge delega Madia e legge n. 81/2017 - 4. Accordo di lavoro agile e prestazione di lavoro agile - 4.1. Elementi necessari della fattispecie - 4.2. Elementi accessori - 4.3. Possibilità e criticità dell'autonoma fornitura degli strumenti tecnologici da parte del lavoratore - 5. Una prima specificità: il differente apporto della contrattazione collettiva nel pubblico impiego - 5.1. Segue: la difficoltosa organizzazione del lavoro secondo fasi, cicli ed obiettivi - 5.2. Segue: le diverse condizioni per l'esercizio del potere disciplinare - 6. L'inadeguatezza degli elementi necessari della fattispecie ai fini della distinzione dal telelavoro ... - 6.1. ... in particolare nel lavoro agile alle dipendenze della P.A. - 7. Una distinzione dal telelavoro basata pressoché esclusivamente su elementi “eventuali” - 8. Implicazioni sistematiche: il lavoro agile come possibile sottotipo del telelavoro alle dipendenze della P.A. - Note
Com'è noto, il capo II la legge n. 81/2017 disciplina il lavoro agile[1] come particolare modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato, che corrisponde a finalità di tutela della competitività delle imprese e di conciliazione tra vita e lavoro, recependo in larghi tratti le caratteristiche elaborate dalla contrattazione collettiva del settore privato, perlopiù a livello aziendale o di gruppo, e in alcuni settori. Il comma 3 della norma prevede l'estensione della disciplina del lavoro agile anche al lavoro alle dipendenze della P.A.[2], non solo privatizzato, “in quanto compatibili … e fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”, ed incide su un tema giuridico – quello della flessibilità spazio-temporale – già in corso di modifica nel lavoro alle dipendenze della P.A. Obiettivo del presente scritto è studiare le prime questioni osservabili in questa verifica di compatibilità. Già tre anni prima dell'emanazione della legge n. 81/2017, i commi 1 e 2 dell'art. 14 della L. 7 agosto 2015, n. 124 prevedono che, nel rispetto della spending review e cioè senza nuovi o maggiori oneri, le P.A. adottino “misure organizzative per l'attuazione del telelavoro e per la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa”, anche al fine di tutelare e promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti della P.A. che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, a richiesta, di avvalersi di tali modalità, senza penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera[3]. La conciliazione vita-lavoro, come indica la rubrica dell'art. 14, viene tutelata in forma sperimentale e volontaria mediante modalità spazio-temporali definite come “nuove”, ciò che suggerisce l'obiettivo di distinguerle dal telelavoro[4]. Si tratta allora di comprendere quali siano: A) i valori giuridici sottesi nonché B) i tratti identificativi della fattispecie lavoro agile nel lavoro alle dipendenze della P.A. C) quale sia la normativa applicabile e quale quella incompatibile, ed infine D) come questo si distingua dal telelavoro.
La rubrica dell'art. 14, come accennato, chiarisce che l'introduzione di nuove modalità di svolgimento spazio-temporale della prestazione è orientata alla conciliazione tra esigenze di vita e di lavoro, non limitata alla tutela delle cure parentali, e l'elemento conciliativo rappresenta senz'altro il valore principale posto alla base dell'emanazione della previsione. Il lavoro agile si identifica tra le nuove modalità spazio-temporali di esecuzione della prestazione che potranno dare attuazione agli obiettivi attesi dalla legge n. 124/2014 nell'arco del triennio di sperimentazione. Non per caso l'art. 14 è rubricato “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche” a differenza della legge n. 81/2017, mentre l'art. 18 comma 1 riferisce le disposizioni di promozione del lavoro agile “allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. La distinzione trova anzitutto fondamento nel fatto che il datore di lavoro pubblico non persegue il lucro e quindi, tra competitività e conciliazione, il primo dei due valori è destinato a lasciare spazio esclusivamente a quello della conciliazione vita-lavoro. Scorrendo però il testo dell'art. 14, emerge che la conciliazione vita-lavoro non rappresenta l'unico bene giuridico tutelato. Infatti, l'introduzione di nuove modalità di organizzazione spazio-temporale della prestazione corrisponde anche all'obiettivo di promuovere la maggiore efficienza della P.A. Non per caso, l'adozione delle suddette misure organizzative e il raggiungimento dell'ambiziosa soglia del 10% dei dipendenti mediante le nuove modalità spazio temporali sono oggetto di valutazione nell'ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale. A tal fine sono previsti l'eventuale adeguamento dei sistemi di monitoraggio e controllo interno, nonché specifici indicatori per la verifica dell'impatto, tra i quali, oltre alla qualità delle misure organizzative, che ripropone la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, spiccano l'efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa e la qualità dei servizi erogati. Ne discende un quadro in cui l'incentivo del lavoro agile ai fini della valutazione della performance rappresenta l'equivalente degli incentivi normativi[5] oggi previsti per i datori [continua ..]
In attuazione dell'art. 14, comma 3, della legge delega n. 124/2015[7], poco dopo la legge n. 81/2017 viene emanata la Direttiva n. 3/2017 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, recante “indirizzi per l'attuazione dei commi 1 e 2 dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all'organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti”. Al contempo le linee guida sono emanate ai sensi dell'articolo 18, comma 3, della legge n. 81/2017, nell'obiettivo di fornire “indirizzi per l'attuazione delle disposizioni legali attraverso una fase di sperimentazione”. Emerge così la duplice natura e funzione della Direttiva (cfr. pag. 2 del documento in .pdf), finalizzata per un verso a dettare regole inerenti l'organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, delle quali la disciplina della legge 81/2017 come esplicato deve tener conto, e al contempo la diretta proposizione di misure di sperimentazione del lavoro agile nel pubblico impiego. In questo contesto, frutto di una stratificazione normativa, l'obiettivo principale dichiarato dalla direttiva è quello di fornire indirizzi (linee guida, parte integrante della direttiva), come proposte di sperimentazione rivolte alle singole PP.AA., per l'attuazione di ambedue le misure legislative, elaborati sulla base di un percorso condiviso con alcune amministrazioni. Nella direttiva il lavoro agile (linee guida 1.D – misure organizzative) è definito come modalità di svolgimento della prestazione che deve necessariamente essere instaurata mediante accordo tra le parti individuali, e che, senza alterare la natura subordinata del rapporto di lavoro, deve svolgersi in parte all'interno e in parte all'esterno dei locali aziendali, senza postazione fissa con riferimento a quest'ultima parte. Si riconosce dunque come imprescindibile sia l'elemento della flessibilità spaziale della prestazione, sia quello della flessibilità dell'orario di lavoro, in virtù del riferimento della norma “ai soli limiti di durata massima giornaliera e settimanale” che devono essere garantiti ex art. 18, comma 1 della legge n. 81/2017. Per l'attivazione del lavoro in forma agile (Punto 2 – proposte metodologiche della Direttiva n. 3/2017) la P.A. dovrebbe elaborare un Piano per la realizzazione [continua ..]
La legge n. 81/2017 qualifica il lavoro agile come modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato con connotati particolari, instaurata per mezzo di un accordo tra le parti che introduce, contemporaneamente o dopo l'assunzione, elementi di flessibilità nell'esecuzione della prestazione sotto il profilo dello spazio ed eventualmente, come si vedrà, anche del tempo. Questi elementi di flessibilità introdotti per mezzo dell'accordo, infatti, trovano il proprio contenuto minimo nella parte di prestazione resa all'esterno dei locali del datore di lavoro senza una postazione fissa da parte del datore di lavoro ed è in ragione di tale peculiarità che si giustificano tutte le previsioni derogatorie e/o aggiuntive in materia di controlli, esercizio del potere disciplinare, sicurezza e prevenzione, infortunio in itinere. Come è stato ben sintetizzato, l'accordo sul lavoro agile si pone come contratto accessorio ad un contratto principale, quello di lavoro subordinato, specificando il contenuto di quest'ultimo per la prestazione resa fuori sede, sicché per le parti non specificate nell'accordo ausiliario vale il riferimento al negozio cui l'accordo accede e alla disciplina inderogabile che ne caratterizza il funzionamento[9]. L'accordo di lavoro agile può riguardare innanzitutto la collocazione del tempo e del luogo della prestazione, ma mentre la prima parte dell'art. 18 comma 1 afferma l'assenza di “precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”, la seconda afferma che la prestazione lavorativa si esegue “in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa” e comunque entro i soli limiti di durata massima giornaliera e settimanale dell'orario di lavoro. Ove intese come requisiti essenziali della prestazione di lavoro agile[10], queste due disposizioni risulterebbero contradditorie, atteso che l'accordo potrebbe riguardare solo l'assenza di precisi vincoli di tempo e non di luogo, a fronte di una prestazione comunque soggetta ad alcuni limiti di orario (nel presupporre una misurazione della durata massima della prestazione). E ancora per la prima parte l'accordo potrebbe riguardare solo il luogo e non il tempo, mentre per la seconda la prestazione deve chiaramente essere svolta in parte all'esterno. Invece l'interpretazione che sembra più corretta è quella per cui l'art. 18, comma 1 presenta una [continua ..]
Il primo e imprescindibile requisito del lavoro agile ai sensi dell'art. 18 è l'accordo individuale L'instaurazione della modalità di lavoro in forma agile non può essere imposta al lavoratore, né trarre fondamento dall'esercizio di un potere unilaterale. E tuttavia, nella fase “precontrattuale”, è di tutta evidenza che potrebbe imporsi l'interesse dell'imprenditore il quale, esercitando la propria naturale supremazia, potrà probabilmente contare sull'accondiscendenza del lavoratore. Questa considerazione, però, può essere effettiva nel settore privato dopo l'introduzione delle c.d. tutele crescenti, meno nel settore pubblico che gode ancora della tutela reintegratoria ai sensi del nuovo art. 63 T.U. Per entrambi i settori, però, si potrebbe dire la previsione di un recesso libero sembra costituire una garanzia insufficiente per il lavoratore quando questi sia parte di un contratto di lavoro a termine. L'art. 19 delinea poi le caratteristiche ed i requisiti del patto di lavoro agile: l'oggetto, riferito alla “esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore”, la forma scritta ad probationem e “ai fini della regolarità amministrativa” e la libera recedibilità (o recedibilità causale per patti a scadenza). Per quel che concerne la prestazione in modalità agile, il requisito necessario e imprescindibile è l'esecuzione di parte della prestazione all'esterno dei locali aziendali senza una postazione fissa[15]. Infatti, ai sensi dell'art. 18, comma 1, secondo periodo, che è riferito alla prestazione in forma agile, si afferma che la prestazione viene eseguita (necessariamente) “in parte all'interno dei locali aziendali, in parte all'esterno senza una postazione fissa” e la ricorrenza congiunta di questi elementi rappresenta, insieme ad un accordo tra le parti, la condizione necessaria e sufficiente per avere una prestazione di lavoro in forma agile. È l'unione di questi elementi (svolgimento in forma alternata+discrezionale scelta dei luoghi di lavoro all'esterno) a rendere peculiare la fattispecie poiché, nel lavoro subordinato anche anteriormente alla disciplina della legge n. 81/2017, non era previsto né un obbligo [continua ..]
Accanto all'elemento dell'accordo possono aggiungersi elementi liberamente modulabili dalle parti. Anzitutto l'utilizzo di strumenti tecnologici, formalmente “possibile” nonostante sia in concreto assai rilevante nell'assetto di interessi complessivo o in alcuni casi decisivo per la gestione della prestazione in modalità agile. In secondo luogo, lo svolgimento di una prestazione “anche per fasi, cicli e obiettivi” è elemento accessorio compatibile con la retribuzione di produttività e con gli sgravi contributivi per la conciliazione vita-lavoro (cfr. i d.intermin. 25.03.2016, art. 2, comma 2, e 12.09.2017, art. 3 lett. B). Ma a ben vedere, essendo inserita nello stesso inciso, è eventuale “anche” l'organizzazione della prestazione “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”. Al riguardo, la stessa rubrica della norma, “misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” sembra in un certo senso presupporre la libertà per le parti individuali di delimitare le modalità della prestazione. Posta questa premessa, è allora pienamente comprensibile il fatto che la norma consenta – sebbene non imponga – di limitare in modo preciso il funzionamento del patto di lavoro agile lungo le stesse coordinate sulle quali esso va ad incidere, almeno principalmente, ossia spazio e tempo. Del resto, se già sul piano generale la modalità agile non potrà essere “disposta unilateralmente” dal datore di lavoro, è coerente affermare che saranno le parti a dettare (eventuali) precisi limiti rispetto al tempo e al luogo di lavoro. Ecco dunque che il riferimento all'eventuale assenza di precisi vincoli di tempo o di luogo corrisponde a una funzione di modulazione del livello di dettaglio con cui le parti intendono applicare l'accordo o, ancora, del livello di delimitazione, all'interno della prestazione di lavoro subordinato, di quella esigibile in forma agile, in particolare per la parte “tipica”, che come si vedrà è quella svolta all'esterno senza una postazione fissa. Un'elevata precisione può corrispondere all'interesse dell'una piuttosto che dell'altra parte, soddisfacendo ora le esigenze organizzative del datore di lavoro (e di competitività nel settore privato), ora quelle di [continua ..]
La Direttiva generale n. 3/2017 del 1.6.2017 della PdCM riconosce (Linee guida, par. 6.A) che solo qualora il datore di lavoro pubblico fornisca gli strumenti/dispositivi di lavoro, lo stesso sarà tenuto ad assicurarsi che essi siano conformi agli standard tecnici e alle specifiche disposizioni di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, come pure prevede un'apposita attività di formazione e informazione sull'utilizzo delle apparecchiature “eventualmente messe a disposizione”[31], secondo la logica anglosassone BYOD-BringYourOwnDevice[32]. Va tenuto in considerazione, tuttavia, che non è di questo avviso la circolare INAIL n. 48 del 2.11.2017 secondo la quale “sia per le attività svolte in azienda, sia per quelle svolte al di fuori di tale ambito, gli strumenti tecnologici sono sempre forniti dal datore di lavoro”, senza fornire spiegazioni specifiche. Al riguardo si possono formulare alcune considerazioni, valide tanto per la P.A. quanto per il datore di lavoro privato. Gli strumenti tecnologici di lavoro, anzitutto, sono strumenti di lavoro e come tali, sotto il profilo della sicurezza, occorre anzitutto confrontarsi con le previsioni del Testo unico. Ai sensi di tale disciplina – art. 69, lettere a e b – è attrezzatura di lavoro qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari all'attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro, mentre per “uso” si intende qualsiasi operazione lavorativa connessa, compreso il trasporto. Sul piano della disciplina della sicurezza il datore di lavoro ha l'obbligo di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (art. 18 lett. d), e di regola – per la parte di prestazione resa all'interno dell'azienda – anche l'attrezzatura di lavoro come parte dell'organizzazione dei beni e servizi, deve essere conforme ai requisiti minimi di sicurezza di cui al titolo III, assicurandone l'installazione, fornitura, aggiornamento e tenuta in registro (art. 71, comma 4). Per la prestazione resa all'esterno dell'azienda, invece, norme quali i commi 9 e 10 dell'art. 3 per lavoro a domicilio e telelavoro sembrano confermare un principio diverso – compatibile con le previsioni per il lavoro agile in tema di sicurezza e garanzia di buon funzionamento, ai sensi [continua ..]
Una prima peculiarità del lavoro agile alle dipendenze della P.A. è il differente rapporto tra contrattazione individuale e collettiva, già molto controverso in via generale sia per gli accordi pregressi[35] che per quelli successivi[36] all'entrata in vigore della legge n. 81, e che deve ex art. 18, comma 3 rispettare le disposizioni speciali contenute nel testo unico. È pressoché pacifico che la disciplina dell'art. 18 comma 1 della legge n. 81/2017, per l'attivazione del lavoro in modalità agile impone comunque il passaggio per un accordo individuale tra dirigente competente e singolo lavoratore, ai sensi della legge n. 81/2017, e fa salvo il diritto di recesso per le parti dal patto. Tuttavia l'art. 40 comma 1, anche dopo le modifiche del D. Lgs. n. 75/2017, attuativo della legge delega n. 124/2015, affida alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro. Non sembra che in virtù dell'art. 40 l'autonomia collettiva possa sostituirsi alle parti individuali per l'attivazione del lavoro in forma agile, posto che è chiaro nella legge l'obiettivo di rimettere alle parti individuali il bilanciamento tra esigenze di competitività (nella P.A. leggasi: efficienza, v. supra, § 2) e conciliazione. Sussistono tuttavia elementi per ritenere che la contrattazione collettiva pubblica, almeno nel lavoro privatizzato, non soltanto possa riempire, ma in certi casi debba intervenire in forma esclusiva, eliminando o predeterminando gli spazi per le parti individuali: si pensi all'art. 40 comma 1 stesso che per le materie “relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità…la contrattazione collettiva e' consentita nei limiti previsti dalle norme di legge”. Altre materie sono escluse dalla contrattazione collettiva, come quelle attinenti all'organizzazione degli uffici e quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17. Al riguardo nella direttiva n. 3/2017 è prevista la disposizione per atto interno un passaggio del “Piano per la realizzazione di nuove modalità spazio-temporali” di cui all'art. 14 comma 1 legge n. 124/2015 sia ai CUG, sia alle Organizzazioni sindacali, così come un “confronto preventivo con i sindacati”, sia pure “limitatamente alle misure riguardanti i [continua ..]
Il differente ruolo della contrattazione collettiva ha implicazioni nell'organizzazione del lavoro per fasi cicli e risultati. L'art. 20 della legge n. 81 impone un trattamento normativo ed economico del lavoratore agile non inferiore a quello di coloro che svolgono le stesse mansioni esclusivamente all'interno, e pone così una regola di non regressione, secondo la quale il motivo per cui il datore di lavoro può ricorrere al lavoro c.d. agile non può risiedere nella riduzione del costo del lavoro conseguente alla disciplina retributiva e normativa applicabile alla fattispecie[40]. Nell'adeguamento alla disciplina speciale del pubblico impiego, aldilà della correzione del rinvio, che deve essere limitato ai soggetti indicati dal titolo III del testo unico, è vero altresì, come è stato rilevato, che questa specifica regola nel pubblico impiego poteva essere desunta o ricavata dai principi generali[41]. Si combina, infatti, con le regole degli artt. 2, comma 3 e 45 comma 2[42], almeno rispetto al trattamento fondamentale[43], e tuttavia configura una duplice e non identica tutela di trattamento per il lavoratore pubblico in modalità agile: una generale (non regressione del trattamento rispetto agli altri dipendenti a parità di mansioni svolte) ed una speciale (parità di trattamento del lavoratore agile rispetto agli altri lavoratori subordinati “interni” del medesimo inquadramento). La doppia tutela del trattamento, peraltro agganciata a quella di tutti i colleghi del medesimo inquadramento, sicuramente ottima per evitare abusi, potrebbe al contempo contraddire o “depotenziare”, nel funzionamento la logica premiale insita nell'organizzazione per risultati, fasi e cicli del lavoro agile: infatti, anche in caso di mancato raggiungimento dei risultati, il lavoratore agile non potrà essere retribuito meno dei colleghi interni non solo di pari mansioni, ma anche di tutti coloro che abbiano lo stesso inquadramento. In secondo luogo tale organizzazione, a differenza del settore privato, non potrà comportare sgravi contributivi, esclusi almeno allo stato attuale[44], mentre potrà corrispondere ad un miglioramento della performance organizzativa, in particolare come specifico indicatore di efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa. A queste affermazioni si può obiettare che residuano margini importanti anche nel pubblico [continua ..]
È noto che ai sensi degli artt. 40 comma 1 e 55, comma 2, del Testo Unico la contrattazione collettiva è fonte di responsabilità disciplinare nel rispetto delle previsioni di legge. Secondo quest'ultima norma “la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni e' definita dai contratti collettivi”, ma è ammessa facendo salvo quanto disposto dal titolo IV sul rapporto di lavoro e cioè agli artt. da 51 a 57 e, in particolare, 53, comma 8 e da 55-bis a 55-septies. Se l'art. 21, comma 2, della legge n. 81/2017 indica quale contenuto del patto di lavoro agile l'individuazione delle condotte, “connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari” e sembra consentire margini di espansione per l'autonomia privata individuale. Espansione che non si tradurrà nel rinvio ad un accordo dell'esercizio di un potere unilaterale quale è per definizione il potere disciplinare, bensì in una funzione dichiarativa del modo in cui i poteri stabiliti dal datore di lavoro verranno esercitati[48]. In via generale è noto che la potestà determinativa del datore di lavoro è esercitabile in via unilaterale in mancanza di un contratto collettivo applicabile e, in caso contrario, resta fermo il divieto di previsioni peggiorative rispetto alle previsioni normative dei contratti collettivi[49]: al riguardo, pur rispettando l'esclusivo ruolo dell'autonomia individuale per la fase costitutiva del patto di lavoro agile, non v'è ragione di ritenere che siano stati preclusi margini alla contrattazione collettiva anche in ambito disciplinare[50]. Questo è vero viepiù nel pubblico impiego dove, con il sostegno delle due norme speciali sopra citate, non potrà escludersi un intervento aggiuntivo, integrativo o di specificazione della contrattazione collettiva in materia disciplinare anche per le condotte poste in essere all'esterno e senza postazione fissa. La questione è semmai se, nel pubblico impiego, la regolamentazione collettiva debba essere esclusiva e cioè se possa ritenersi impedita una pattuizione individuale tra il dirigente pubblico e il lavoratore sulla base delle stesse previsioni. La logica di bilanciamento individuale sottesa alla legge n. 81/2017 potrebbe indurre a ritenere che alle stesse parti contrattuali dovrebbe essere [continua ..]
Ciò premesso, la discussione in ordine alla sovrapposizione tra la fattispecie del lavoro agile e quella del telelavoro assume rilievo principalmente e in via generale, come è stato correttamente rilevato[56], con riferimento a una prestazione di lavoro subordinato[57] svolta con l'ausilio di strumenti informatici e all'esterno dei locali aziendali. Gli effetti più rilevanti connessi a tale sovrapposizione si osservano in materia di sicurezza perché, com'è noto, per la parte di lavoro resa a distanza il testo unico prevede norme specifiche con non trascurabili obblighi in materia, ad esempio, di utilizzo dei video-terminali, diritto di ispezione e misure di contrasto all'isolamento del lavoratore (art. 3, comma 10), fermo restando che, come detto, il lavoratore agile, per la parte intra-aziendale, è beneficiario delle stesse tutele previste per i suoi colleghi che svolgano le stesse mansioni, mentre per la parte extra-aziendale il datore di lavoro non può esaurire i propri obblighi di sicurezza soltanto per mezzo della consegna dell'informativa scritta[58]. Quella della sicurezza sarebbe, secondo taluni[59], la vera ragione alla base del tentativo – prima collettivo, poi legislativo – di creare nuove forme di adempimento sostanzialmente simili ma dotate di un assetto di tutele più leggero. Questo presunto obiettivo di differenziazione, prima che dal legislatore, era già stato perseguito dalla contrattazione collettiva prevedendo, a fianco del telelavoro, altre ipotesi distinte per l'appunto denominate di smart working, ora sulla base del criterio della postazione fissa[60], compatibile con quello ma escluso in queste, ora sulla base del criterio della regolarità[61], intesa come “prevalenza” dello svolgimento della prestazione fuori dai locali aziendali[62]. Tanto nel prisma della legge, quanto in quello dello elaborato dall'autonomia privata, questi criteri non risultano però del tutto persuasivi né tantomeno sembrano univocamente interpretabili perché se si osservano i tratti identificativi essenziali del lavoro agile, nessuno tra essi pare decisivo per distinguere le due fattispecie. In primo luogo, non esiste alcun obbligo di postazione fissa nel telelavoro: questo, infatti, è compatibile con lo svolgimento in forma mobile[63], anche se alcune previsioni denotano una concezione del lavoro telematico ormai non molto realistica, [continua ..]
L'esigenza di distinguere il telelavoro da tali nuove forme spazio-temporali di organizzazione della prestazione è acuita nel pubblico impiego dove la fonte del telelavoro (art. 4 legge n. 191/1998, d.P.R. n. 70/1999), oltre ad imporre obblighi ulteriori quali ad esempio quello della fornitura, installazione e collaudo della postazione di lavoro, comunque intesa[69], è anzitutto di natura legislativa e quindi non derogabile da parte dei contratti collettivi. Dove, come nel settore privato, l'istituto del telelavoro non è legalmente definito e regolato, il tentativo di differenziazione elaborato dall'autonomia privata collettiva può riuscire in virtù dell'assenza di efficacia reale degli accordi quadro (europeo del 2002 e nazionale del 2004), e può riuscire certamente ancora oggi perché è e resta facoltà delle parti sociali definire in modo più preciso i requisiti del telelavoro (ad esempio il concetto di regolarità) o di aggiungerne (postazione di lavoro) e potrebbe anche essere facoltà delle parti collettive anche specificare i requisiti della prestazione resa in forma agile, nel rispetto dei suoi tratti essenziali e imprescindibili (accordo individuale e svolgimento in forma alternata senza postazione fissa)[70]. Dove, invece, l'istituto è legalmente definito, la deroga per mezzo di accordi collettivi al testo legale non è un'opzione ed oltretutto alcune previsioni, proprio nel pubblico impiego con il d.P.R. n. 70/1999, confermano la possibilità che il telelavoro sia svolto in forma alternata. In particolare, poi, difetta nella definizione legale del telelavoro pubblico il requisito – previsto negli accordi quadro – dello svolgimento regolare dell'attività a distanza con il prevalente uso di tecnologie informatiche (cfr. art. 4, legge n. 191/1998)[71]. Di talché, anche volendo basare la distinzione tra lavoro agile e telelavoro su questo fragile perno, questo verrebbe meno nel lavoro alle dipendenze della P.A.[72]. L'elemento dell'accordo tra le parti, che può apparire regolamentato in modo differente e unilaterale nel telelavoro pubblico[73], non pare dirimente: se è vero che il progetto che viene elaborato unilateralmente dalla P.A. (art. 3, d.P.R. n. 70/1999) ed è sulla base di esso che si assegna il lavoratore al telelavoro (art. 4 primo comma)[74], è anche vero che in base all'accordo [continua ..]
Più convincenti possono risultare logiche di distinzione basate su elementi che, nella configurazione legale della fattispecie, risultano inseribili a discrezione dalle parti. Si fa riferimento alla modulazione che possono assumere i poteri del datore di lavoro nel lavoro agile all'esito della pattuizione[79], non prevista per il telelavoro in senso stretto, o ancora sulla possibilità – che è però eventuale – di organizzare il lavoro per fasi, cicli e risultati. Con meno rigore teorico ma con risultati più validi nell'accertamento, possono venire in soccorso nella distinzione anche norme palesemente concepite per la mera disciplina operativa del funzionamento del patto. In primo luogo, se si ritenesse inapplicabile al lavoro agile l'art. 17, comma 5, D.Lgs. n. 66/2003, che nel telelavoro in generale consente, come osservato (§ 4.2), la disapplicazione di un maggior numero di norme in materia di orario di lavoro rispetto a quanto l'art. 18 della legge n. 81 consenta, anche questo profilo potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di distinzione. O ancora secondo lo stesso principio, la distinzione potrebbe essere basata sul fatto che nel telelavoro pubblico si impone sempre e per legge al datore di lavoro di fornire gli strumenti di lavoro, a differenza che nel lavoro agile dove l'assegnazione di strumenti tecnologici da parte del datore di lavoro è del tutto eventuale. Di conseguenza, qualora il datore di lavoro pubblico, non assegni gli strumenti tecnologici al lavoratore, ma gli consenta di utilizzare apparecchiature di sua proprietà o autonomamente locate, ecco che la norma di disciplina dell'art. 18, comma 2, della legge n. 81/2017 verrebbe immediatamente a chiarire la riconducibilità del lavoro alla disciplina del lavoro agile, anziché a quella del telelavoro.
Se la disciplina generale del lavoro agile, per un verso può senz'altro rappresentare la prima regolamentazione legale di forme di lavoro a distanza nel settore privato, per altro verso presenta criticità nella delimitazione dalla fattispecie speciale del telelavoro alle dipendenze della P.A., scarsamente utilizzata ma eccessivamente contigua. I tentativi di individuare aree solo parzialmente sovrapponibili tra le due fattispecie, per ricavarne campi di applicazione autonomi[80] si scontrano con il fatto che i tratti essenziali del lavoro agile, e cioè l'accordo delle parti e lo svolgimento di parte della prestazione all'esterno dei locali aziendali in assenza di postazione fissa, si rivelano requisiti troppo simili, se non identici nel pubblico impiego dove non esiste neppure il criterio della regolare attività a distanza sul quale basare la distinzione. Al contempo la previsione dell'art. 18 comma 3 della legge n. 81/2017, nel salvaguardare specifiche previsioni per il lavoro alle dipendenze della P.A., priva la disciplina del lavoro agile della forza giuridica necessaria a ritenere assorbite, o tacitamente abrogate, le difformi previsioni di legge e regolamento sul telelavoro pubblico. I profili più idonei a distinguere le due fattispecie si rinvengono in quegli elementi liberamente inseribili, almeno secondo la disciplina legale generale, per volontà dei contraenti, con primaria attenzione alla possibilità per le parti di predeterminare o delimitare l'esercizio dei poteri tipici del datore di lavoro, non prevista nel telelavoro, e di organizzare il lavoro per fasi, cicli ed obiettivi. Questi elementi distintivi, però, proprio perché tutti eventuali e non necessariamente presenti, destano più di un dubbio circa la configurabilità del telelavoro come species del lavoro agile[81], che vista la difficile distinzione tenderebbe comunque ad applicarsi come norma speciale, bensì impongono di inquadrare il lavoro agile, per la parte “tipica” svolta all'esterno con strumenti informatici[82], come sottotipo del telelavoro, del quale condividerebbe tutte caratteristiche essenziali, almeno nel settore pubblico dove la disciplina di riferimento è legale. Di conseguenza, come regola, l'applicazione in via diretta della relativa e molto farraginosa disciplina del telelavoro non sarebbe impedita nella P.A.: così ad esempio in materia di obblighi di [continua ..]