L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 2016 modifica l’ordinamento portuale istituendo le Autorità di Sistema Portuale, alle quali viene affidato un ruolo strategico di indirizzo e coordinamento delle attività portuali. Il presente contributo approfondisce la disciplina dei rapporti di lavoro all’interno di questo ente e le relative peculiarità, anche rispetto alla disciplina generale del lavoro pubblico. In particolare, si analizza l’inquadramento giuridico del personale alle dipendenze delle Adsp in relazione ai compiti ed alle funzioni di queste ultime, mettendo in luce le principali novità introdotte dalle ultime riforme.
The legislative decree n. 169/2016 reforms the harbour ordering, establishing the Authorities of Harbour System, that carries out address and coordination tasks. The paper investigates the working relationships within this institution and it highlights the legal framework of those employed introduced by the last reform, focusing on its elements of speciality regarding the civil service law.
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1. Il personale alle dipendenze delle Autorità di Sistema Portuale - 2. L’inquadramento giuridico delle Adsp e l’impatto sulla natura del rapporto di lavoro - 3. Le procedure di reclutamento - 4. L’estensione dei cardini e dei vincoli del pubblico impiego oltre il sistema di reclutamento: la disciplina anticorruzione - 5. L’esigenza di spending review nella fase gestionale del rapporto - 6. I profili tout court privatistici e le discrepanze con il pubblico impiego - 7. Le competenze delle Adsp a proposito di sicurezza sul lavoro - 8. Il lavoro somministrato alle dipendenze delle Autorità portuali - NOTE
L’indagine sul personale alle dipendenze delle Autorità di sistema portuale (d’ora in poi Adsp) conferma l’inesistenza di uno statuto unitario dell’impiego pubblico. In effetti, l’evoluzione delle Adsp ha portato all’introduzione di un quadro normativo [1] che dimostra come ancora oggi esista “una serie di diritti del lavoro speciali, ispirati a principi diversi da quello generale, che finiscono per reggere tecniche e apparati regolativi del rapporto di lavoro e delle relazioni sindacali, divergenti, se non opposti. Ciò in ragione delle specificità organizzative dei datori di lavoro e delle finalità istituzionali perseguite” [2]. Tali specificità, nel caso della disciplina dei rapporti alle dipendenze delle Autorità, sono certamente ricollegabili alle funzioni non esclusivamente amministrative da esse svolte. Infatti, nonostante la formale qualificazione come enti pubblici non economici [3], le Adsp svolgono anche alcune attività molto vicine a quelle imprenditoriali, al punto tale da potersi dubitare, nella prospettiva eurounitaria, dell’effettiva separazione tra attività regolatrici, di stampo amministrativo, ed economiche [4]. Ne discende, dunque, ancor più di altre pubbliche amministrazioni, la necessità di ricercare la via dell’efficienza dei rapporti di lavoro nel modello privatistico [5], attingendo da esso anche per aspetti normalmente non applicabili al pubblico impiego. Pertanto, benché dovrebbe operare integralmente il d.lgs. n. 165/2001 (t.u.p.i.), la combinazione di fonti legali e collettive fa emergere elementi di specialità non solo in alcuni aspetti di dettaglio ma anche, e in primis, nell’impianto stesso del sistema delle relazioni sindacali e della contrattazione collettiva [6]. È opportuno indagare, dunque, non solo sul piano dell’individuazione delle fonti regolative del rapporto, già di per sé peculiari, ma sui relativi confini di specialità ad essi applicabili. Nel far ciò, come evidenziato dalla Cass. 25 giugno 2020 n. 12627, “è tuttavia necessario sempre valorizzare la natura pubblica non economica dell’ente datore di lavoro, dalla quale è possibile circoscrivere l’ambito della disciplina giuslavoristica applicabile, ponendo l’accento sulla necessità di orientare [continua ..]
Ai sensi dell’art. 6, c. 5, l. n. 84/1994, nella formulazione successiva alla novella avutasi con d.lgs. n. 169/2016, alle Autorità si applicano i principi (limitatamente al Titolo I) del d.lgs. n. 165/2001 [7]. In altre parole, stando al quadro legislativo predisposto nella l. n. 84/1994 i rapporti di lavoro del personale alle dipendenze delle Adsp sono considerati di diritto privato [8] e rientrano nel regime normativo del Codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nonché dei contratti collettivi nazionali di lavoro [9]. Considerando il raccordo di tale disposizione con il d.lgs. 165/2001 senza troppe difficoltà – e riservando ad un’analisi successiva i tratti derogatori di tale assetto – formalmente potrebbe dirsi che siamo dinanzi ad un rapporto di pubblico impiego contrattualizzato che, come noto, segue le regole privatistiche in quanto compatibili. La disposizione così letta non sarebbe affatto innovativa, essendo la conseguenza logica della natura di ente pubblico non economico delle autorità, incluse, quindi, tra le pp.aa cui si rivolge il d.lgs. n. 165 [10]. Tuttavia, in ragione della finalità di buon andamento dei servizi di pubblica utilità di cui all’art. 16, l. n. 84/1994 [11], le disposizioni mutuate espressamente dal t.u.p.i. attengono ai soli principi applicabili in fase di reclutamento, sanciti nell’art. 35, c. 3, d.lgs. n. 165/2001 [12], nonché al quadro normativo finalizzato al contrasto della corruzione, al divieto di cumuli di incarichi e alle ipotesi di inconferibilità e incompatibilità [13]. Sugli altri aspetti, invece, il testo normativo tace, ponendo dubbi sulla integrale applicabilità del d.lgs. n. 165/2001. Come anticipato, il quadro legislativo ibrido si spiega in ragione delle originarie [14] (e tuttora persistenti) difficoltà di ricondurre a tutti gli effetti le Autorità nell’alveo degli enti pubblici non economici a causa del labile confine tra lo svolgimento dell’attività di impresa e la sussistenza di finalità non lucrative. Per un versante, in effetti, non sarebbe possibile ricondurre le Autorità alla figura tradizionale dell’imprenditore pubblico [15] perché molteplici sono le attività e i poteri riconosciuti alle Adsp che permettono di ricondurle [continua ..]
Dal formale riconoscimento di ente pubblico non economico discende, ad ogni modo, l’assoggettabilità delle Adsp ai principi che regolano il rapporto di pubblico impiego e, pertanto, all’obbligo derivante dall’art. 97 Cost. di selezionare i propri dipendenti mediante concorso [24], sia nella fase di assunzione che in quella di progressione di carriera [25]. D’altro canto, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, ribadito con la sentenza 16 luglio 2020, n. 133, per l’accesso al pubblico impiego la regola del concorso risulta essere il sistema migliore [26], sicché deroghe alla stessa, da parte del legislatore, “sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione o di attuare altri princìpi di rilievo costituzionale, che possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati” [27]. Si ritiene pertanto che l’esclusione dell’obbligo del concorso dovrebbe essere disposta con norma puntuale, da cui trarre, eventualmente anche in via interpretativa, il rispetto dei limiti imposti dall’art. 97 Cost. [28]. Di conseguenza, l’Adsp è tenuta a definire con propri provvedimenti i criteri e le modalità per le procedure di selezione comparative e per quelle di progressione di carriera del personale dipendente dell’ente, rispettando i principi generali di adeguata pubblicità, imparzialità, trasparenza, non discriminazione [29]. Si consideri che il vincolo della disciplina sul concorso comporta anche l’applicabilità della giurisdizione amministrativa nel caso di controversie sulle procedure concorsuali per l’assunzione del personale, come prevista dall’art. 63, c. 4, d.lgs. n. 165/2001 [30]. Il giudice amministrativo potrà vagliare, dunque, in virtù dei poteri di accertamento, costitutivi e di condanna attribuitigli [31], le valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici dei pubblici concorsi, rilevandone l’eventuale irragionevolezza, l’arbitrio o la violazione del principio della par condicio tra i concorrenti, senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo [32]. Chiaramente, l’applicabilità della disciplina del pubblico impiego ingloba tutte le problematiche ad essa [continua ..]
Dall’inquadramento come ente pubblico non economico delle Adsp discende anche l’applicabilità dell’art. 53, d.lgs. n. 165/2001, ivi incluso il c. 16-ter relativo alla disciplina del c.d. pantouflage, nonché dell’art. 18, d.lgs. n. 33/2013. D’altronde, come avallato dall’Anac [42], l’Adsp rientra pacificamente anche nella definizione di “enti pubblici” fornita dall’art. 1, c. 2, lett. b), d.lgs. n. 39/2013, ai sensi del quale devono intendersi per tali “gli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati”. Non vi sarebbe ragione, pertanto, per il personale delle Adsp, di escludere l’applicazione di tutte le ipotesi di incompatibilità. Effettivamente, anche per il pantouflage [43], disciplinato al c. 16-ter dell’art. 53, d.lgs. n. 165/2001, con il d.lgs. n. 39/2013 è stato ampliato l’ambito di applicazione, “per un verso, con riferimento all’ambito del rapporto di pubblico impiego …; per altro verso, dal punto di vista dell’amministrazione datrice di lavoro, stabilendo che esso si applica non solo ai dipendenti delle amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001, ma anche ai dipendenti di enti pubblici genericamente intesi e di enti di diritto privato in controllo pubblico” [44]. L’interpretazione estensiva dell’ambito di applicazione delle norme anticorruzione è, d’altro canto, anche alla base dell’intervento del d.lgs. 232/2017 che, nel rafforzare la disciplina del d.lgs. n. 39/2013 e ampliarla al Comitato di Gestione [45], ha in effetti ampliato le disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni di cui al d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39 anche al personale delle Adsp. L’espresso riferimento proprio alla fattispecie riguardante il sistema di governance delle Autorità “appare favorevolmente apprezzabile… in quanto tale integrazione consente di colmare una lacuna del decreto non facilmente giustificabile” [46]. Il discorso è analogo per la normativa sul whistleblower e le relative Linee Guida in materia di tutela degli autori di [continua ..]
La formale riconducibilità delle Adsp alle pubbliche amministrazioni ha prodotto effetti anche sull’applicabilità di ulteriori disposizioni legislative che, seppur non espressamente richiamate, perseguono la finalità del buon andamento, nella declinazione del contenimento dei costi. Invero, più volte la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi su questioni di tal genere, in riferimento a norme attinenti sia alla fase prodromica all’assunzione sia a quella gestionale. Nel tentativo di risolvere le ambiguità, essa ha privilegiato la lettura interpretativa basata sempre sull’ancoraggio alla nozione di “ente pubblico non economico”; sufficiente di per sé ad estendere i cardini del pubblico impiego anche in altre vicende sostanziali di tali rapporti lavorativi. Ciò è accaduto in materia di blocchi degli aumenti retributivi, di vincoli di contingentamento economico del costo del personale [51], nonché di limiti assunzionali. Tali disposizioni speciali sono state ritenute infatti applicabili anche al personale delle Adsp in virtù del fatto che i relativi costi sono da considerarsi comunque gravanti sul bilancio dello Stato [52]. La stessa Corte costituzionale ha affermato che le Autorità, rientrando nel novero delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 3, c. 5, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, devono contribuire a realizzare l’obiettivo di contenimento e controllo della spesa nel settore del pubblico impiego. Pertanto, esse restano vincolate dai limiti alle assunzioni posti dalla normativa statale; questo perché qualsiasi deroga inevitabilmente inficerebbe la finalità, perseguita dal legislatore nazionale, di contenere gli incrementi della spesa nel comparto del personale delle pubbliche amministrazioni [53]. Analogo ragionamento è alla base dell’applicabilità – anche se soltanto parziale, come vedremo subito dopo – della disciplina speciale del tfr per i pubblici dipendenti. A tal proposito va anzitutto ricordato che nonostante il pubblico impiego [54] e quello privato abbiano oggi il medesimo assetto in materia di tfr, sussistono motivi di perdurante divaricazione. Essi risiedono sia “nelle fonti istitutive” che nelle “fonti di finanziamento”. Infatti, nel settore pubblico “solo la contrattazione collettiva di comparto può [continua ..]
Le conclusioni del precedente paragrafo ci portano adesso a individuare le peculiarità di singoli istituti ed evidenziarne la loro eccentrica attrazione nel campo normativo del lavoro privato tout court. C’è da fare una premessa: una caratteristica che evidenzia lo scostamento delle Adsp dal contesto del lavoro pubblico la si rinviene, significativamente, sul piano delle fonti di regolazione sindacale: in termini soggettivi e oggettivi. Esse, difatti, sono fuori dal campo di rappresentanza dell’Aran e dal sistema di contrattazione definito nel d.lgs. n. 165/2001 [69]; in particolare, non rientrano nel comparto ove naturalmente avrebbero dovuto confluire, vale a dire quello degli enti pubblici non economici [70]. Diversamente, la fonte sindacale del rapporto di lavoro individuale del personale delle Autorità si rinviene nel Ccnl stipulato “dall’associazione rappresentativa delle Adsp per la parte datoriale e dalle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative del personale per la parte sindacale” [71]. La categoria di riferimento è ampia; tale contrattazione risulta la medesima sia per le imprese terminaliste e concessionarie sia per i lavoratori facenti parte dell’organico delle Adsp. A questo proposito, il Ccnl dei lavoratori dei porti [72], all’art. 1, precisa: “tale contratto regola i rapporti di lavoro tra le imprese di cui agli artt. 16 e 18 della legge n. 84/1994 e successive modificazioni, le Autorità Portuali di cui all’art. 6, i soggetti di cui all’art. 17, comma 2 della predetta legge ed il personale da esse dipendente (ossia le imprese la cui attività consiste nella fornitura di lavoro temporaneo per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali), comma 5 (ossia le agenzie, promosse qualora non si realizzi quanto previsto dai commi 2 e 3, al fine di erogare le prestazioni di cui al comma 1), ivi compresi i lavoratori e i soci lavoratori delle imprese di cui all’art. 21 della richiamata legge” [73]. Alla diversità delle fonti contrattuali corrisponde, in questo caso, una disuguaglianza dei contenuti, la quale conduce i singoli istituti ivi disciplinati a seguire il quadro normativo privato tout court. Si pensi alla disciplina in materia di jus variandi contenuta nel Ccnl di riferimento, ove, all’art. 4, si legge che “valgono le norme di cui [continua ..]
La l. n. 84/1994, così come modificata nel 2016, scandisce alcune prescrizioni anche in tema di previdenza, salute e sicurezza. Pur non discostandosi troppo dalla disciplina generale è opportuno evidenziare che il lavoro portuale mantiene proprie peculiarità anche in tale ambito (sebbene di genere diverso da quelle fin ora esaminate). L’estrema varietà delle professionalità impiegate, dei servizi prodotti e delle stesse attività svolte, nonché la presenza di macchinari e attrezzature complesse, rendono l’ambito portuale soggetto a specifici rischi [81]. Altresì, la normativa risulta ulteriormente complicata in virtù dell’elevato rischio di interferenza dovuto all’intenso ricorso a contratti di appalto e d’opera (ex artt. 16 e 17, l. n. 84/1994 [82]). Rispetto allo scenario appena descritto, l’analisi si concentrerà sulla disciplina del personale delle Autorità di sistema portuale, alla cui regolazione concorrono molteplici fonti, non solo nazionali; sebbene vada subito evidenziato che siamo ancora lontani dalla definizione di un corpus normativo lineare e coordinato. Tra le principali fonti normative internazionali si annoverano la Convenzione OIL n. 152, sulla sicurezza e l’igiene nelle operazioni portuali, nonché il Codice delle buone pratiche OIL, del 2003, sulla salute e la sicurezza nei porti. Di recente, sono state emanate quattro nuove direttive europee attinenti alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; tra queste, la 2019/1832 [83] contiene adeguamenti di carattere strettamente tecnico e prescrizioni minime per l’utilizzo, da parte dei lavoratori, di attrezzature di protezione individuale durante lo svolgimento delle loro mansioni [84]. In particolare, all’allegato III, nell’elenco indicativo e non esaustivo delle attività e dei settori per i quali può rendersi necessario mettere a disposizione attrezzature di protezione individuale, vi rientrano “Porti, trasporti e logistica”. Conformemente alle disposizioni della suddetta direttiva, sulla base della valutazione dei rischi sarà appurata la necessità delle attrezzature di protezione individuale e delle loro caratteristiche. Passando ad un esame della legislazione nazionale, meritano di essere evidenziate le norme speciali in questo ambito. Anzitutto [continua ..]
Gli interventi correttivi degli ultimi anni – come in buona parte abbiamo già visto – sono frutto della riconosciuta esigenza di dotare le Adsp di strumenti flessibili a sostegno del mercato del lavoro portuale e (ri)definire i compiti e le funzioni delle stesse all’interno della nuova cornice normativa. A tal proposito, la fornitura di lavoro risulta essere un ulteriore campo d’interesse all’interno del variegato mondo portuale. Si rende, però, necessaria una premessa: il focus della presente analisi resta la disciplina del personale delle Adsp e, pertanto, la trattazione del presente paragrafo indagherà tale aspetto – seppur relazionato alla fornitura di manodopera – limitandosi a mettere in luce le principali novità introdotte dalle ultime riforme [96]. Nell’ambito della disciplina speciale [97] della fornitura di lavoro portuale rientrano una varietà di operatori: a) le imprese concessionarie (anche dette “terminaliste”) che espletano le operazioni di imbarco e sbarco – più in generale, di movimentazione delle merci – rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo, a mezzo di infrastrutture e sovrastrutture fisse (ci riferiamo alle imprese ex art. 18 della l. n. 84/1994); b) gli operatori che offrono all’utente, al vettore marittimo e/o al terminalista i propri servizi, per il cui svolgimento non è necessario disporre di strutture fisse in esclusiva (il riferimento è alle imprese portuali autorizzate ai sensi dell’art. 16 della l. n. 84/1994); c) le imprese fornitrici di manodopera temporanea (disciplinate dall’art. 17 della l. n. 84/1994) [98]. Gli interventi normativi più recenti [99], ai quali si accennava poc’anzi, non introducono radicali trasformazioni alla disciplina della fornitura di lavoro portuale, tuttavia intervengono sull’adeguamento delle funzioni del Presidente dell’Adsp in materia di governance; difatti, le funzioni che prima erano svolte dall’ente gestore sono state trasferite prevalentemente ad egli. Il d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 232 (c.d. “Correttivo porti”), integrando l’art. 8, c. 3 della l. 28 gennaio 1994, n. 84, ha aggiunto, con la lett. s-bis), ai compiti del Presidente dell’Autorità di sistema portuale, l’adozione del Piano dell’organico del porto dei lavoratori delle [continua ..]