Il bilancio delle riforme in materia di lavoro è un esercizio molto complesso, poco praticato e particolarmente esposto ad una molteplicità di approcci anche metodologici, tutti legittimi ma con esiti potenzialmente diversissimi.
Sommario: 1. Pubblico e privato venticinque anni dopo (1992-2017). – 2. Le tortuose convergenze. – 3. Le materie più “toccate” dalle riforme. – 4. Il punto di maggiore resistenza. – 5. Quali alternative? Quale contratto di lavoro al centro delle riforme? – 6. Manovre di avvicinamento: il sistema di relazioni sindacali. – 7. Segue: il rapporto di lavoro. – 8. Distanze vecchie e nuove. – 9. Una conclusione possibile: divaricazioni incolmabili sul piano micro-organizzativo attraverso la regolazione giuslavoristica. Il ruolo degli “attori”, diversi tra pubblico e privato. 1. Pubblico e privato venticinque anni dopo (1992-2017) Il bilancio delle riforme in materia di lavoro è un esercizio molto complesso, poco praticato e particolarmente esposto ad una molteplicità di approcci anche metodologici, tutti legittimi ma con esiti potenzialmente diversissimi [1]. Se parliamo di stagione delle riforme legislative pensando ad un confronto tra pubblico e privato dobbiamo a mio parere prendere in considerazione un arco temporale lungo: almeno un quarto di secolo. Anche se nel lavoro pubblico le riforme legislative cominciano prima (1992, rispetto al pacchetto Treu del 1997) e trovano il più recente punto di approdo successivamente (2017 rispetto al Jobs Act del 2015). Naturalmente in questo periodo sono state fatte tantissime riforme legislative: generali, con riguardo a profili istituzionali, o, più specifiche, ad esempio in materia previdenziale. Oppure sono state fatte profondissime riforme settoriali: si pensi all’assetto degli Enti locali, delle Regioni, della Sanità o alle nostre Università. Una comparazione completa dovrebbe guardare a tutti gli aspetti. Ad esempio nell’ultimo anno sono stati riformati i rapporti di lavoro nelle imprese a partecipazione pubblica (o società controllate: alcune centinaia di migliaia di lavoratori) [2], ma anche negli enti del terzo settore (alcuni milioni di lavoratori, se si considera l’area assai vasta del volontariato) [3].Fare un confronto che comprenda tutte le discipline settoriali non rientra né nei miei intendimenti né nelle mie forze. Qui mi limiterò ad un ragionamento che riguarda le discipline di applicazione tendenzialmente generali, differenziate solo in ragione dell’appartenenza del datore di lavoro alle pubbliche amministrazioni in senso stretto (prima area) o alle imprese con veste giuridica genericamente privatistica (seconda area). Non si terrà dunque conto di specificità settoriali delle discipline generali, sebbene tali specificità assumano talora in concreto una rilevanza primaria. Insomma l’area del confronto è quella ancora oggi complessivamente indicata dall’art. 2, D.Lgs. n. 165/2001: da un lato i rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche non [continua..]